Voleva solo pedalare, e invece – dice lui – “di cose dal cielo ne sono piovute tante, e io ho corso di qua e di là per beccarle”, le Paralimpiadi di Londra 2012 e Rio 2016, le maratone di New York e altrove, l’Ironman, fino all’ultima corsa, stavolta in auto, al Mugello, “tre settimane dopo Rio, soprattutto un anno e mezzo dopo che ero salito su un’auto, un’altra, e allora mi sono detto che se fanno un mucchio alla prima curva, magari riesco a salire sul podio, e invece ho vinto”.
Voleva solo pedalare, e invece ha dovuto anche ricordare quando suo padre gli ripeteva che “chi copia piglia 5, ma è un buon punto di partenza”, perché – dice lui – “sai quanta strada risparmi partendo dal 5, cioè guardando, osservando, imitando, imparando, e poi finalmente metterci del tuo”; e quando, 15 settembre 2001, gli piombò addosso quella che lui, adesso, chiama “una castagna colossale”; e quando si è rialzato, ha rimesso in moto il meccanismo ed è ripartito, senza mai troppo prendersi sul serio; e quando, tornato a casa dopo ospedale, coma e amputazioni, Daniela, la moglie, gli ha fatto trovare in garage una macchina con i comandi a mano.
Voleva solo pedalare, e invece deve anche filosofeggiare ma senza atteggiarsi a filosofo, perché – dice lui – bisogna “interrogarsi, concentrarsi su quello che si può ancora fare piuttosto che su quello che non si può più fare, sintonizzare il cervello con i desideri dettati dal cuore, e poi farlo bene, e trovare – strada facendo – qualcuno su cui appoggiarsi, e infine dirsi, ripetersi, non sarà facile, ma ci posso provare e ce la posso fare, e non smettere mai di farsi vincere dalla curiosità, guardarsi intorno, trovare sempre gli aspetti più appassionanti, e insomma, giocare e divertirsi”.
Voleva solo pedalare, e invece deve anche spiegare ma senza atteggiarsi a guru o profeta, per esempio “l’ambizione è quella che in una volata ti fa mettere la ruota davanti a quella del tuo avversario, ma quella che ti fa arrivare fino alla volata è la passione”.
Voleva solo pedalare, e invece adesso sostiene che non ha fatto nulla di eccezionale, in fondo si trova nella stessa situazione difficile di una madre con la famiglia sulle spalle e che va a lavorare con 38 di febbre; e sostiene “sono una persona assolutamente normale”, “appaio modesto ma non lo sono”, “sono orgoglioso di quello che faccio e mi piace parlarne”, “a 50 anni ho meno energie di quando ne avevo 40, ma ho imparato a sprecarne anche di meno”, “affronto ogni giornata con l’entusiasmo di chi vuole scoprire qualcosa di nuovo”, “non credo alla magia ma al dai-e-dai-e-dai”, e “sono molto vicino all’orizzonte che inseguivo fin dall’inizio”.
Voleva solo pedalare, e invece “una sera, a casa, tra mia moglie e una sua amica, non riuscivo a dire la mia, allora ho sbottato ‘fatemi dire una cosa, sono Zanardi!’, e l’amica di mia moglie ha ammesso che era vero, ‘noi ti abbiamo qui tutte le sere, per noi è diventato normale’, un po’ come per Venezia, per chi abita a Mestre è normale, per un americano no”.
Voleva solo pedalare, e invece ha scritto un altro libro, ancora con Gianluca Gasparini, e se il primo era la vita di Alex Zanardi, questo potrebbe essere la vita secondo Alex Zanardi, l’ha presentato alla Rizzoli in Galleria a Milano, e s’intitola - indovinato - “Volevo solo pedalare” (Rizzoli, 264 pagine, 15 euro).
Marco Pastonesi