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PARIS 2024. EYERU GEBRU: «VOGLIO LOTTARE PER TUTTE LE DONNE, PER LA MIA GENTE, PER LA LIBERTA'»
di Francesca Monzone | 04/08/2024 | 08:07

L’Africa del ciclismo non è solo quella di Biniam Girmay e non è neanche quella dei Mondiali che si svolgeranno in prossimo anno in Ruanda. In questi Giochi del 2024, nella squadra dei Rifugiati del Cio c’è l’Etiopia di Eyeru Gebru. La sua storia è triste quanto vera e se la sua vita è stata per lunghi mesi in pericolo, oggi è di nuovo una donna libera e da atleta rifugiata gareggerà alle Olimpiadi sotto la bandiera dei rifugiati del Cio.

Nel 2018 era entrata nel centro di sviluppo dell’UCI in Svizzera dove è rimasta fino ai Mondiali di Imola del 2020, poi nella sua vita è scesa la notte e le uniche luci erano quelle della guerra civile scoppiata nella regione del Tigray in Etiopia, dove Eyeru Gebru abitava. In quel 2021 che ha cambiato totalmente la vita di questa ragazza, l'Etiopia era in preda a una brutale guerra civile, dove il governo federale, sostenuto dall'Eritrea, era in conflitto con la regione del Tigray. Eyeru Gebru nella guerra perde tutto, perde amici e familiari, ma c’è per lei una via di fuga, quella dei Mondiali di Leuven, perché lei è così brava che può chiedere di essere selezionata dalla sua nazionale. Arrivata in Francia nell'agosto 2021, a poco più di un mese da quella che sarebbe stata la sua quarta apparizione ai Campionati del mondo, scompare. Nonostante fosse nella start list provvisoria sia per la cronometro che per la corsa su strada, Gebru, nelle Fiandre non è mai arrivata e di lei si persero le tracce per mesi.

«Non potevo rappresentare il mio Paese perché avrebbe significato sostenere il genocidio del mio popolo»: questo fu quanto dichiarò la giovane etiope, quando finalmente riuscì ad uscire da quel periodo tragico, dove la sua vita era in costante pericolo. Scomparsa nel 2021 in Francia è riuscita a tornare a gennaio del 2022 a Nizza, dove ha fatto la richiesta di asilo politico.

La strada per Eyeru Gebru non è stata semplice e, nonostante il sorriso, quei mesi terribili le hanno lasciato dei segni indelebili, che forse solo il tempo potrà cancellare.

«Non voglio parlare di tutto che ho passato. È stato davvero difficile. E’ stato veramente orribile. Se oggi sono qui è grazie al ciclismo, perché per me la bicicletta è stata una vera terapia. Ho smesso di correre per più di due anni. Le cose non andavano bene, ma pensare e sognare erano la mia più grande forza per superare i momenti difficili e questa è stata la mia unica terapia».

Dopo essere stata testimonial della giornata mondiale dedicata alla bici, Eyeru Gebru ha potuto realizzare il suo sogno più grande e oggi sarà tra le atlete che correranno alle Olimpiadi. La sua sarà una corsa diversa, perché lei che per mesi è rimasta nascosta, oggi con la bandiera dei rifugiati potrà dar voce a tutte quelle donne che non possono parlare e non possono gridare il loro dolore.

La sua passione per il ciclismo nasce da lontano e quando era appena una bambina, vide una corsa di ciclismo e subito divenne amore. Ma l’Africa non è l’Europa e le bici non sono alla portata di tutti e anche quelle vecchie e rovinate, vengono vendute a un prezzo troppo elevato per la maggior parte delle persone.

«Quando avevo 16 anni, ho iniziato a guadagnare soldi aiutando mia madre e il sabato vendevo arance, limoni e altri frutti locali. Mia mamma preparava anche degli spuntini fatti in casa chiamati kolo, una combinazione di cereali tostati, e li vendevo anch'io. Con quei soldi, potevo noleggiare una bici la domenica per 10 o 20 minuti. È così che ho imparato ad andare in bici e mi sono allenata». Pochi mesi dopo il sogno iniziava a prendere forma, è entrata nella squadra Ketema Axum Cycling Club. «È stato in quel momento che ho iniziato a inseguire il mio sogno e nel 2015 sono arrivata seconda ai campionati nazionali». L’anno successivo, per lei si sono aperte le porte dell'UCI World Cycling Centre (WCC) ad Aigle in Svizzera e quel sogno che sembrava irrealizzabile, si era finalmente concretizzato e tutti i sacrifici finalmente ripagati.

Tra il 2018 e il 2020 è una ciclista a tutti gli effetti e gareggia in tutta Europa e nel 2019 con la maglia della nazionale dell’Etiopia diventa campionessa africana nella cronometro a squadre e arriva seconda nella prova in linea. «Ogni anno miglioravo e nel 2020 ho inviato il mio curriculum a team professionistici. La Movistar aveva detto di no a causa del COVID, ed erano al completo, ma che mi avrebbero preso in considerazione per il 2022. Stavo diventando più forte, stavo andando bene, avevo l'opportunità. E poi all'improvviso tutto è cambiato».

Gebru è tornata in Etiopia a ottobre del 2020 e poco dopo è iniziata la guerra. «Era davvero difficile vivere, perché tutto il giorno c'erano attacchi aerei e di droni sui civili. Dovevi nasconderti, cambiare posto ogni volta. Tutto era chiuso. Non potevo andare a casa di mia madre perché c’era la guerra e non l'ho più vista da allora. Ho perso alcuni dei miei amici e familiari e alcuni erano ciclisti. Alcuni sono andati nell'esercito perché sono stati costretti a combattere. Mulu Hailemichael, che ora corre per la Caja Rural - Seguros RGA, è fuggita a piedi da Mek'ele ed è andata ad Amhara e solo dopo due mesi di combattimenti è tornata in Europa».

Una volta arrivata ad Addis Abeba ancora non era fuori pericolo, ma per lei la strada della salvezza potevano essere i Campionati del Mondo di ciclismo a Leuven e così chiede di poter partecipare, anche se non corre in bici da un anno.

Gebru però non arriverà mai in Belgio e si perdono le sue tracce in Francia, dove per mesi è nuovamente costretta a nascondersi e a spostarsi di continuo. Poi riesce a tornare a Nizza e chiede asilo politico e un’associazione, che conosce la sua storia, decide di comprarle una bici. In quel momento il sogno può ricominciare e il team Grand-Est Komugi La Fabrique la contatta e le offre un posto in squadra. ll suo miglior risultato è stato il secondo posto in una tappa del Loire Ladies Tour ad aprile e questo, insieme alla borsa di studio offerto dalla sua squadra, le consentono di arrivare al CIO e di realizzare il sogno olimpico.

«Gareggiare per il team dei rifugiati del CIO ora è la mia grande motivazione. Non voglio solo partecipare, ma voglio fare una gara davvero bella perché per me il ciclismo è più di qualsiasi altra cosa».

Eyeru Gebru è diventata un simbolo bellissimo di lotta per la libertà e l’uguaglianza di genere. La sua è stata una vita difficile, ma la Francia l’ha adottata e questo adesso è il suo Paese, dove è finalmente tornata ad essere una donna che non deve nascondersi.

Lo scorso 30 maggio è stata una delle tedofore a Calvados, nella Francia nord-occidentale e per lei quello sarà uno dei momenti da ricordare per sempre. «Essere stata scelta per portare la torcia olimpica è stato un grande onore per me. Sono così felice e orgogliosa di me stessa e adesso voglio guardare al futuro e a tutte le cose che potrò fare».

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