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VERMEERSCH. «A ROUBAIX HO SCOPERTO CHI SONO E ORA ALLE CLASSICHE...»
di Francesca Monzone | 19/12/2021 | 10:17

C’era l’Inferno del Nord e c’era Sonny Colbrelli, che con la sua forza e determinazione, aveva domato quelle fiamme, fatte di fango, sudore e polvere e lì accanto, in terra, in un angolo, c’era un ragazzo che si stringeva le ginocchia piangendo vicino alla sua bici. Il suo volto era irriconoscibile, ma tutti sapevano che era Florian Vermeersch, un ragazzo sconosciuto ai più che con la maglia della Lotto-Soudal aveva tagliato il traguardo al secondo posto, dietro Colbrelli e davanti a Van der Poel.

Lui, ad appena ventidue anni, è stata la rivelazione della Parigi-Roubaix: quel giorno il suo compito era di andare in fuga, ma il cuore e le gambe avevano preso il sopravvento, spingendolo con forza verso il traguardo della Regina delle Classiche. Florian in poche ore è diventato il simbolo del riscatto di un’intera nazione. Era il corridore che, uscito dal nulla, aveva fatto sognare il Belgio, patria indiscussa del ciclismo.

Oggi Florian Vermeersch è un professionista vero e la Lotto-Soudal ha deciso di continuare a farlo crescere, grazie ad un contratto che lo vestirà dei colori della squadra fino al 2024. Durante lo stage del team sulla Costa Blanca in Spagna, il giovane Florian ha firmato un prolungamento di accordo e nei prossimi tre anni continuerà ad essere l’orgoglio del Belgio in una squadra di casa.

Florian Vermeersch ha solo 22 anni, ma in tutto il Paese il suo è un volto già familiare grazie a quel secondo posto alla Parigi-Roubaix, forse la versione più epica della corsa che, a causa del Covid, dalla primavera è stata spostata in autunno, regalando, al pubblico immagini di una bellezza assoluta.

«Questo rinnovo del contratto mi dà molta fiducia per il futuro – ha detto Florian Vermeersch in Spagna - : condividiamo la stessa visione per il futuro ed è bello far parte di un progetto ambizioso in cui tanti giovani possono crescere in un ambiente ben strutturato».

Florian alla Lotto-Soudal è arrivato nel 2019 dopo aver lasciato la Pauwels Sauzen – Vastgoedservice Continental Team. È stato messo alla prova in una delle squadre più storiche del ciclismo, nella quale tanti corridori del Belgio e non solo hanno vinto le Classiche Monumento, quelle corse in cui la storia di questo sport ogni anno scrive pagine inedite, fatte di fatica e agonismo.

«Credo fortemente nella qualità e nello sviluppo di una squadra classica che può giocare un ruolo importante nelle corse più importanti. A 22 sono pochi i corridori che si sono messi alla prova in una squadra del World Tour, ma io l’ho fatto con la Lotto- Soudal dove sono passato dal team di sviluppo al team di professionisti. Attraverso questo passaggio, puoi crescere bene, perché la squadra diventa ogni anno sempre più familiare e si stringono legami forti».

Florian sarà una pedina importante nella Lotto-Soudal, rientrando in quel progetto nel quale il numero uno del team belga, John Lelangue, crede fortemente. «È bello vedere la strada che Florian ha già preso, partendo dal team di sviluppo e arrivando nel World Tour, e non vediamo l'ora di vedere cosa ci regaleranno i prossimi anni. Continuiamo quindi a lavorare per far crescere nuovi giovani talenti, con la convinzione che diventeranno i vincitori di domani».

Sappiamo che ha solo 22 anni, ma Florian sa già cosa aspettarsi dal futuro: lui, un ragazzone di 193 cm e 85 kg di peso, vuole diventare uno specialista delle Classiche, quelle corse, che nel suo Belgio sono conosciute come l’Inno nazionale.

«La primavera, anche per sfortuna e cadute, non mi ha portato i risultati sperati. Dopo un periodo di riposo però, è andata decisamente meglio e ovviamente il secondo posto alla Parigi-Roubaix è stato una vera apoteosi. L'anno prossimo il focus non sarà solo sulle Classiche, mi piacerebbe anche migliorare nelle cronometro. Penso che queste due tipologie di corsa possano essere combinate bene insieme. Spero di iniziare le Classiche il prossimo anno in buone condizioni e di mettermi in luce nel finale di stagione».

Ritornando a quel 3 ottobre, reso infinito dalla pioggia e dal freddo, ripercorriamo quel finale con tre corridori resi irriconoscibili dal fango, ma che dovevano giocarsi la vittoria. Sono tre esordienti nell’Inferno del Nord: Sonny Colbrelli, Mathieu Van Der Poel e Florian Vermeersch. Si tratta del campione italiano ed europeo in carica, dello specialista delle Classiche, dal nobile sangue e poi lui, Florian Vermeersch, lo sconosciuto, entrato per uno strano disegno del destino in quel finale di corsa così unico. Nessuno lo aspettava e probabilmente nessuno avrebbe scommesso su quel suo incredibile piazzamento, ma il belga non ha avuto timori e con quel terzetto si è fatto strada fino all’iconico velodromo di Roubaix.

«Ho provato sia delusione che orgoglio alla Parigi-Roubaix. In un primo momento, la delusione ha avuto il sopravvento su tutto. Poi ho capito che dovevo essere orgoglioso di ciò che avevo fatto». Il giovane della Lotto-Soudal quel giorno doveva andare in fuga, questi erano gli ordini della squadra, lottare per ottenere il miglior risultato possibile da portare a casa.

Florian ha creduto in quello che le sue gambe dicevano, ha seguito il suo cuore e il suo istinto e ha lottato per cercare il suo miglior risultato che in quel frangente è diventato la vittori. Florian non cercava più il piazzamento e Colbrelli, con Van der Poel, non erano più due colossi, ma solo due avversari, che avrebbe cercato di battere nell’unico modo che conosceva: spingere forte sui pedali.

«Finita la corsa, la delusione c’era ma nei giorni successivi, quella sensazione è andata via e ho capito che, se avevo perso la corsa, avevo conquistato in ogni caso un secondo posto straordinario. Il nostro obiettivo era quello di entrare nella fuga, almeno se fosse stata una grande fuga. Abbiamo raggiunto l’obiettivo all'inizio della gara con tre ragazzi. C'è stata una battaglia davanti al gruppo per ottenere una buona posizione nei primi settori. Mi stavo comportato bene ma all'improvviso due sono caduti. Da quel momento ho detto agli altri: avanti, non uccidiamoci, andiamo avanti con il gruppo, e così è successo».

E il racconto continua: «Quando Moscon è andato via sono caduto, perché in una corsa come quella cadere era una delle tante cose che ti possono accadere, ma sono riuscito a recuperare un po'. Nel frattempo era arrivato il gruppo di Colbrelli, io ho superato il brutto momento e mi sono sentito di nuovo bene e all’improvviso mi sono trovato con van der Poel e Colbrelli al Carrefour de l'Arbre».

In quel momento Florian Vermeersch ha iniziato a pensare ad un finale diverso della corsa, dove l’obiettivo non era più entrare nella fuga ma correre per la vittoria: da quel momento tutta la sua corsa è cambiata, diventando un crescendo di emozioni e fatica fino al velodromo. Solo chi è entrato in quel velodromo riesce a cogliere quella magia, quell’essere sospesi con il respiro, fino a quando non viene proclamato un nuovo vincitore. Roubaix è così, è la città grigia della manifattura francese dove ogni anno nasce un nuovo eroe, vestito di gloria e di polvere, al termine del percorso più infernale di tutti. «

Ho capito che stavo correndo per la vittoria. Ero con due corridori che avevano già vinto le volate di gruppo, quindi ho dovuto attaccare. L'ho fatto due volte, ma loro sono tornati su di me. Siamo arrivati allo sprint. So di averlo lanciato nel momento giusto, ma avevo crampi ovunque e Colbrelli è passato».

Oggi Florian ricorda quel 3 ottobre con occhi diversi. Non si sente più il giovane sconfitto, quello che in lacrime si stringeva le ginocchia al petto. Adesso ha la consapevolezza di poter fare qualcosa di importante, di essere solo all’inizio della sua carriera e di avere tutte le carte in regola per  diventare un vincitore di Classiche.

«Sto dietro alle mie scelte, non ho rimpianti. Quello che ho fatto, lo rifarei se ne avessi la possibilità. Ho capito che quella corsa si adatta alle mie caratteristiche. Grazie alla mia prima Roubaix ho capito chi sono veramente, sono un ragazzo da Classiche e mi piace quello che ho scoperto».

La Parigi-Roubaix è una corsa unica, sono chilometri di gara che si odiano e si amano, perché questo è l’Inferno del Nord con i suoi storici settori che devastano la maggior parte dei corridori. «L'ingresso al velodromo è stata pura adrenalina, ma in realtà l'ho avuta per tutta la gara. Ero quasi sempre davanti e tra i primi ad entrare nei settori. E’ difficile spiegare quello che si prova quando si corre una Parigi-Roubaix. C’è il pubblico che ti chiama per nome, ci sono la fatica e la disperazione, vai avanti perché devi farlo, perché quel traguardo lo devi conquistare e se ripenso a quei momenti, ancora oggi sento chi urla il mio nome e ogni volta mi torna la pelle d’oca, perché questa è la Parigi-Roubaix».

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