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QUESTIONE DI SECONDI. TISTA BARONCHELLI E IL GIRO DEL 1974...
di Valter Nieri | 25/10/2020 | 07:40

Questione di secondi... Il Giro si prepara a vivere la tappa più incredibile - con due corridori che partono alla pari nella crono finale di Milano - e alla memoria è subito balzata l'edizoone del 1974 della corsa rosa, quella dei "12 secondi", quella del sogno infranto di Tista Baronchelli alle Tre Cime di Lavaredo, quando Eddy Merckx firmò un ultimo incredibile chilometro difendendo la sua maglia rosa. Vi proponiamo questa intervista con il grande Gibì realizzata pochi giorni fa quando ovviamente nessuno avrebbe immaginato un finale come questo per il Giro.

Tormentato da problemi fisici, Giovan Battista Baronchelli, Gibì per i tifosi e Tista per gli amici, ha raccolto in 16 anni di professionismo meno di quanto meritasse anche se 90 vittorie non sono poche se consideriamo che per ottenerle si è dovuto fare spazio nelle generazioni di Eddy Merckx prima e di Bernard Hinault dopo, segnate da campioni fra i più grandi di tutti i tempi.

Eppure a di stanza di 31 anni dal suo ritiro dall'attività agonistica, Gibì viene ricordato anche nelle sconfitte, in particolare due che sono rimaste nella storia del ciclismo: quella del Giro d'Italia del 1974 quando nel suo primo anno da professionista terminò al secondo posto preceduto soltanto di 12 secondi da Eddy Merckx e quella del mondiale di Sallanches nel 1980, quando fu l'ultimo a mollare la ruota di Bernard Hinault. A volte si dice le sconfitte aiutano a crescere e a migliorare ma questo non è stato il caso di Baronchelli, molto di più è il suo rammarico per aver dato al ciclismo più di quello che ha ricevuto.

«Non sono riuscito - dice Gibì - a gestire i limiti mentali, gli aspetti emotivi, quelli che stimolano la capacità motoria. Al Giro del '74 avevo fiducia della mia forza, non temevo nessuno, nemmeno Merckx che era il mio idolo e l'atleta al quale mi ero sempre ispirato. L'anno prima da dilettante avevo vinto Giro d'Italia e Tour de l'Avenir e pensavo di riconfermarmi anche da professionista. La ventesima tappa, da Pordenone alle Tre Cime di Lavaredo, fu decisiva: nei pressi di Misurina attaccai all'inseguimento dello scalatore spagnolo José Manuel Fuente che però era attardato in classifica di molti minuti. Io cercavo di guadagnare il più possibile su Merckx che vide in bilico il suo primato in classifica. Purtroppo in Alta Pusteria, verso la Valle del Landro, la forza non mi fu sufficiente per ricucire l'intero distacco dal campione belga. Avevo 21 anni, attaccavo di istinto ma senza essere consigliato bene. Se avessi sferrato l'attacco più tardi probabilmente avrei tenuto anche un ritmo più costante guadagnando più secondi. La psicologia nello sport è importante. All'arrivo Merckx conservò 12 secondi di vantaggio su di me e 33 su Gimondi. Sicuramente una vittoria avrebbe dato una svolta alla mia carriera professionistica. A Sallanches nell'80 invece successe il contrario. Detti tutto quello che avevo dentro per stare attaccato al miglior Hinault di sempre. Quel giorno scatenò la sua aggressività in salita come non aveva mai fatto prima. Il mondiale ancora mancava alla sua straordinaria carriera dopo aver vinto tutto ed aveva una determinazione impressionante. Nel circuito durissimo ad ogni giro faceva selezione, io non potevo far altro che stargli a ruota fino a quando ad un giro e mezzo dal termine ho ceduto. Negli ultimi chilometri il mio distacco aumentò anche per il salto della catena e giunsi secondo con un ritardo di 1'01". Terzo fu lo spagnolo Fernàndez con un ritardo di 4'25". I distacci fra Hinault e gli altri che finirono la corsa furono abissali».

LE SUE VITTORIE PIU' IMPORTANTI

Il bilancio dell'atleta mantovano di Ceresara con il Giro d'Italia è stato buono anche se sotto il profilo dei risultati meritava di vincere almeno una edizione. Ed invece è stato il terzo atleta della storia più volte piazzato nei primi dieci. Al primo posto in questa speciale classifica c'è Gino Bartali con 13 edizioni, seguito da Felice Gimondi con 12 e Baronchelli è terzo con 10: cinque invece le tappe vinte. Fra i suoi successi più importanti, 2 giri di Lombardia e 6 Giri dell'Appennino vinti consecutivamente, Tour di Romandie, Trofeo Baracchi, 1 G.P.di Francoforte, Giro dei Paesi Baschi, Giro del Piemonte.

«Ogni gara era importante. Le corse erano più lunghe di oggi e nel calendario italiano c'erano molte classiche affrontate dai più forti corridori stranieri, quasi tutti tesserati per squadre italiane. Ho vinto almeno una volta le classiche inserite nel calendario nazionale. Purtroppo una caduta in un circuito a Leffe mi dette gravi conseguenze. Mi ruppi l'omero ed avevo l'osso dell'avanbraccio fuori posto. Ho subito tre interventi chirurgici ma non sono più stato come prima ed in salita ogni tanto accusavo dolori, come sullo Stelvio che decise a favore di Bertoglio il Giro d'Italia del 75».

Lei e Moser non vi guardavate mai in faccia e se lo facevate era soltanto per litigare. Quanto c'è di vero?

«E' tutto vero, ra noi non c'era simpatia, ma è difficile che ci sia quando si è acerrimi rivali. Comunque è stato un campione anche se soffriva un po' in salita. Quando lui e Saronni erano in auge anche i giri d'Italia li facevano su misura per loro. Ecco perchè ad un certo punto preferivo prepararmi per le classiche anzichè per Giri, troppo leggeri per le mie caratteristiche. Ero un atleta che si esaltava sulle gare dure ed impegnative».

Un altro suo rammarico fu al Giro del '78 vinto dal belga Joan De Muynck. Anche in quella occasione fu secondo. «Il '78 fu il mio ultimo anno alla Scic, prima di passare alla Magniflex e successivamente alla Bianchi. Dovevo fare il gregario a Saronni, che in una tappa rimase attardato per un incidente. Dall'ammiraglia ci fu detto di aspettarlo. Giungemmo sul traguardo con un ritardo dalla maglia rosa di un minuto. Persi il Giro per 59 secondi, quindi fate voi il conto...».

E ancora: «Gli unici veri fuoriclasse erano Merckx e Hinault che sapevano vincere ovunque. Gimondi è vero che ha vinto tutto, però era un corridore astuto e intelligente, sapeva studiare gli avversari. Non si possono fare i confronti ma campioni così fanno sicuramente parte della storia dei più grandi di sempre".

CON FANINI LA VISITA DAL PAPA E LA SUA ULTIMA VITTORIA NEL 1988

Nel finale di carriera, Gibì riuscì a vincere il secondo Giro di Lombardia nel 1986 a distanza di nove anni dal suo primo successo. A 33 anni quando più nessuno ci sperava staccò tutti nel finale evitando di perdere la volata contro l'irlandese Kelly.

«Un grande campione - dice di lui Ivano Fanini, attuale patron di Amore & Vita-Prodir - non uno scalatore puro perchè lui non vuole definirsi così ma grande fondista capace di tenere ritmi infernali. Prima dell'onore che mi dette correndo una stagione con la Pepsi Fanini a fine carriera, lo avevo sempre giudicato come uno fra i più grandi corridori di sempre che non ha raccolto quello che meritava. Davano forti emozioni le sue vittorie, perchè generalmente staccava tutti arrivando da solo al traguardo, come erano capaci di fare soltanto i grandi. Nessuno in salita è più riuscito a dare spettacolo come lui nel Giro dell'Appennino e nelle grandi tappe dolomitiche, eccetto il mitico Pantani».

Nella Pepsi Fanini del 1988 c'era D.S. Giuseppe Lanzoni, un direttore sportivo alle prime esperienze con sei anni meno del suo illustre corridore. Ecco cosa ricorda di lui: «Lo ammiravo già quando correvo da dilettante e lui era passato da poco professionista. A Baronchelli non c'era niente da insegnare ed anzi sono orgoglioso di averlo avuto nella mia squadra. Io cercavo soltanto di metterlo a suo agio per non fargli mancare niente. Per il resto notavo un professionista esemplare, quello che ho imparato con lui mi è servito per guidare le mie squadre. Ricordo la cronoscalata che vinse al San Luca e mi dispiaceva vedere che aveva perso l'autostima. Un vero peccato  perchè era un atleta straordinario sotto tutti i punti di vista».

La sua ultima vittoria fu nella cronoscalata da Bologna a San Luca, aveva 36 anni, e diede l'ultimo saggio della sua classe facendo gioire per l'ultima volta i suoi ancora numerosi tifosi. Lo fece in maglia Fanini, un altro nome ricorrente in quasi quaranta anni di storia professionistica. Nel biennio 88-89 Fanini portò al successo con due squadre diverse tanti campioni che mise a suo agio per sparare le ultime cartucce. 

«Conoscevo Ivano Fanini e con lui vinsi l'ultima corsa sul San Luca. Era ed è ancora un personaggio focoso che ti tiene sempre sulla corda con grandi incoraggiamenti. Di quel 1988 ricordo con piacere anche la visita annuale in Vaticano dal Papa. Che emozione trovarsi al cospetto di Papa Giovanni Paolo II. Fanini mi dette un trofeo vinto dalla squadra da consegnargli in ricordo di quell'incontro».

da la Gazzetta di Lucca

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