Villa Mondragone, a Monte Porzio Catone. Università di Tor Vergata e di Roma Tre: premio Ciass per lo sport sociale nella Settimana della cultura sportiva. A Gigi Sgarbozza. Stamattina, alle nove.
Maggio non è un mese facile, neanche per Gigi. Maggio è il Giro d’Italia, e il Giro d’Italia è la primavera, è anche la sua primavera, la sua giovinezza, il suo Giro e la sua tappa. “La quattordicesima tappa del Giro d’Italia 1968, da Vittorio Veneto a Marina Romea, 194 chilometri, la fuga nata dopo 50-60, 17 corridori, nessuno di classifica, giornata di libertà per tutti, giornata di gloria per uno solo. Avevo un compagno di squadra, Guido Neri, ma lui non volle mettersi a mia disposizione, e io non volli mettermi a suo servizio, così ognuno fece la sua corsa. Mi guardai intorno, studiai la situazione, mi concentrai su un francese, Charly Grosskost, maglia della Bic, quell’anno secondo alla Milano-Sanremo e primo nel cronoprologo al Giro, puntai tutto su di lui e a qualche chilometro dall’arrivo m’incollai alla sua ruota. Ultimo chilometro, meno 800, meno 600. Senonché, a 400 metri dal traguardo, lui era sedicesimo e io diciassettesimo. Capii che non era la ruota giusta. Rimontai, li rimontai tutti, a uno a uno, l’ultimo fu un tedesco, Wilfried Peffgen, e vinsi”.
Non si può non volere bene a Gigi, Giggi, Gigetto, Giggetto, Luigino, tutti diminutivi per uno che avrebbe dovuto rivaleggiare in velocità con Dino Zandegù e Marino Basso. Non si può non volere bene a Gigi che – come raccontava Ginetto (altro diminutivo) Sala – era l’unico a presentarsi in sala stampa, annunciato dal tacchettio delle scarpe da corridore, per spiegare una volata in cui probabilmente quei due lo avevano danneggiato. Non si può non volere bene a Gigi che dopo la quinta elementare andò a lavorare, cinque anni come fabbro, erano tempi – gli anni Cinquanta – in cui non esistevano norme per la sicurezza né per la salute, tant’è che lui lavorava senza maschera, e la notte, per riprendersi, dormiva con due fette di patate sugli occhi, e nel frattempo frequentava le scuole serali e si guadagnava la licenza di terza media. Non si può non volere bene a Gigi che fu chiamato in Rai a collaborare da Giorgio Martino, ma che venne subito fermato perché ci voleva un contratto, un compenso, così fece un colloquio con Mario Giobbe, che alla fine gli disse “sei un po’ burino, però bravo” e gli firmò un contratto di sei mesi, e da un contratto all’altro i sei mesi diventarono, dal 1996 al 2015, una ventina di anni.
Adesso Gigi va in bici tre volte la settimana, custodisce e impazzisce per le tre nipotine (Flora, Olga e Lara), soffre di nostalgia per il Giro d’Italia e ritira un premio – lo sport sociale: meraviglioso – addirittura all’università. La dimostrazione che non si vive di soli congiuntivi.
Marco Pastonesi