Avevano una tv grande e grossa, pesante e squadrata, spartana e sovietica, seria ed essenziale. Niente telecomando: per cambiare canale, bisogna farlo con le proprie forze, alzando il culo dalla sedia e smanettando sui tasti.
Quella tv era una finestra sul mondo, non solo per la nonna, ma per tutta la famiglia: e lì, davanti allo schermo, si radunavano grandi e piccoli per le occasioni speciali e per gli eventi nazionali, chi sul divano o in poltrona, chi sul tappeto o sul pavimento, chi sulla carrozzina. Il Giro d’Italia, per esempio.
La famiglia era schierata per Francesco Moser: “Perché era grosso e perché aveva gambe come tronchi di pino”. E contro Giuseppe Saronni: “Il suo nemico – il nostro nemico – era furbissimo e aspettava sempre l’ultimo minuto per saltare fuori dal gruppo e piazzare il colpo vincente”. Al confronto, “Moser non era furbo per niente, e la sua unica tattica era stringere i denti e spingere tutto il tempo fino a sfondarsi”.
Successe proprio durante un attacco di Moser: “L’abbiamo capito solo dalla voce del telecronista, perché ormai sullo schermo non si vedeva nulla e tutto traballava come se in cima allo Stelvio ci fosse un terremoto che rimescolava in un groviglio alberi e corpi e biciclette”. Un primo pugno, sopra, “per fargli capire che o ricominciava a funzionare o lo riempiva di mazzate”. Ma quello niente: “Era sovietico e duro quanto lui, e il terremoto sullo schermo è diventato un frullatore impazzito”. Allora un altro paio di colpi, “stavolta sui fianchi, poi di nuovo sopra ma più forte”, finché “quello ha fatto un rumore che sembrava il crac dei fumetti quando qualcosa si spacca”. Infatti: “Si era spezzata la tv. Con un soffio sfiatato e finale, tipo un palloncino che si sgonfia, è diventata zitta e nera, e addio Giro d’Italia”.
“Il mare dove non si tocca” (Mondadori, 322 pagine, 19 euro) è la storia autobiografica di Fabio Genovesi e della sua famiglia particolare: il papà aggiustatutto, la mamma angelo custode e una serie di zii promossi nonni, tutti con il nome che cominciava per A (Adelmo, Aldo, Aramis, Arno, Athos…), uno più eccentrico dell’altro. I suoi “strani” maestri. Chi lo portava a pesca, chi a caccia, chi pretendeva di insegnargli la dottrina, chi la vita, chi sosteneva che la scuola fosse inutile anzi dannosa, chi gli regalava i comandamenti dell’educazione sentimentale. Con risultati altalenanti. Tutta roba vera. Alcuni particolari sono stati inventati, ma l’autore giura che siano quelli più credibili.
Genovesi ha una passione per il ciclismo: sull’auto del Corriere della sera ha seguito il Giro d’Italia del 2013, e da quel viaggio nel mondo delle fughe e degli inseguimenti, dei traguardi volanti e dei gran premi della montagna, dei capitani e dei gregari era nato “Tutti primi sul traguardo del mio cuore”. Stavolta la bicicletta è quella compagna di avventure quotidiane e quella protagonista di imprese televisive.
In attesa di recuperare l’indispensabile pezzo di ricambio, “il Giro d’Italia lo andavamo a vedere al bar La Gazzella, dove anche gli amici degli zii tifavano per Moser e riempivano Saronni di insulti”.
“Il mare dove non si tocca” è una pedalata fra i racconti, una biciclettata fra i ricordi, una cavalcata fra le emozioni, uno scollinamento fra l’infanzia e l’adolescenza. Affettuoso, sorridente, rotondo.
Marco Pastonesi