Che da dilettante, prima nella Bottoli-Artoni-Zoccorinese, poi nella Zalf-Desirée-Fior, andava forte: quarto al Giro d’Italia 2004 (dietro a Marzano, Bertuola e Pozzovivo, e davanti a Riccò), primo in una tappa del Giro del Veneto e delle Dolomiti, secondo in un Palio del Recioto.
Che da neoprofessionista, il 2006 e il 2007 nella Tenax di Bordonali, emergeva nelle corse più dure, anche se poi – al massimo - ha collezionato solo quindicesimi posti: al Gran premio di Lugano, in una tappa della Settimana Coppi e Bartali, in una tappa e nella generale del Regio Tour.
Che quando Candido Cannavò, ferito dall’ennesimo caso di doping, chiese ai corridori che fossero sempre andati a pane e acqua di dichiararsi, l’unico a rispondergli, rompendo un muro di complicità e omertà, più che di imbarazzo e pudore, fu lui. Risultato: esaurito il contratto con la Tenax, non riuscì più a trovare un ingaggio.
Che – non a caso - era nato per andare in bicicletta e fare il corridore: il 14 novembre (lui, del 1983), giorno e mese di Vittorio Adorni, Bernard Hinault e Vincenzo Nibali, per dirne soltanto tre.
Che era l’unico corridore occitano del gruppo: l’Occitania è quella regione alpina che unisce Italia e Francia, dal Cuneese alla Provenza, ma con tracce anche in Spagna e a Monaco, con una sua lingua, una sua cultura, una sua tradizione.
Ma sì: Miculà Dematteis. Un tipo speciale. Lui e la sua famiglia. A cominciare dal nonno Luigi, ingegnere e scrittore, esploratore e avventuriero. Quando Miculà aveva nove anni, il nonno lo prese e lo portò, in giornata, in cima al Monviso. Quando ne aveva 12, lo prese e lo portò, in cinque giorni e quattro notti (due da amici in cascinali, una in una pensione, una in un’osteria) nel Massiccio Centrale, in bici. Quando ne aveva 15, stavolta fu il padre a prenderlo e a portarlo da casa fin sui Pirenei, a cavallo.
Dieci anni dopo, Miculà (il nome deriva da Nicolao, e comunque è originale, più unico che raro) si è trasferito da Rore di Sampeyre a Piasco, 23 chilometri più a est, a valle, si è sposato con Stefania, assistente in uno studio legale, e hanno due bambine, Vittoria, otto anni, e Agnese, quasi cinque. Lui si divide fra la gestione della logistica dell’Automotive (un’azienda che lavora nel noleggio a lungo termine e fattura 450 mila euro al giorno, con 35 persone alle sue dipendenze) e la responsabilità della Freedom To Ride (con Sergio Balsamo, il papà di Elisa, organizza viaggi in bici, dalle Langhe al Monviso, poi Dolomiti, Toscana, Costiera amalfitana, le montagne del Giro e del Tour). “Se rifarei quello che ho fatto? Tutto. Ho amato il ciclismo e l’ho vissuto. Ho visto, ho capito, ho imparato, anche se mi ha scottato e ne sono uscito nauseato. Comunque mi ha insegnato a stare al mondo. Ho forse solo un rimpianto: in un altro momento storico, sarebbe stato diverso. Ma la mia passione per la bicicletta rimane: quando posso, appena posso, ci vado, anche in vacanza con la famiglia, attaccando un carrettino per portare Agnese”.
C’è una terza attività di cui si occupa Miculà: la comunicazione per i due fratelli gemelli Bernard e Martin, anche loro scalatori, ma a piedi, specialisti nella corsa in montagna. E fra due giorni tenteranno di battere il primato di ascesa del Monviso, stabilito da Dario Viale nel 1986: un’ora, 48 minuti e 54 secondi dalla sorgente del Po, a Pian del Re, quota 2020, alla vetta, quota 3841, per un dislivello totale di 1821 metri.
Marco Pastonesi
(fine della prima puntata – continua domani)