C’è una nuvoletta abitata da stambecchi e camosci, ma anche da alpinisti e ciclisti. C’è una nuvoletta che ha l’aria sottile e il cielo profondo, ma anche un silenzio forte e una solitudine sospesa. C’è una nuvoletta che ha la doppia residenza piemontese e valdostana e la sola cittadinanza italiana, anche se questa Italia – dipende da dove tira il vento - sa già di Francia. C’è una nuvoletta dove il Giro d’Italia, ma anche il Tour de France, non arriverà mai.
E’ il Col del Nivolet: 2612 metri nel Parco nazionale del Gran Paradiso, tra la piemontese Valle dell’Orco e la valdostana Valsavarenche. Minerale e vegetale, zoologico e ornitologico, astronomico e aeronautico, e quasi ciclistico. Quasi, perché a un certo punto della strada – tra Noasca e Ceresole Reale – una galleria di tre chilometri e mezzo con una pendenza fra il 5,5 e il 9,5 (ma secondo altre fonti, tra l’8 e il 10) per cento – il Nivolet respinge anche i più coraggiosi a pedali. Troppo pericolosa. Stretti e ingobbiti, abbagliati e assordati da moto e macchine, non rimane loro che girare la bici e tornare a valle. A meno che.
A meno che quei tre chilometri e mezzo non si possano pedalare fuori dalla galleria, nella vecchia carrozzabile che risale alla nascita della strada, il 1931. Ma quella carrozzabile, meravigliosa, a strapiombo su un laghetto artificiale, è abbandonata, disastrata, massacrata dal tempo e dall’incuria. Bisognerebbe restaurarla a riaprirla. E solo così il Col del Nivolet potrebbe diventare una meta, forse addirittura la più bella fra quelle alpine.
Il Velo Club Turbolento ha lanciato l’idea, e l’idea si è trasformata immediatamente in una sfida: convincere gli amministratori locali come questa strada ciclabile possa essere un traguardo non solo sportivo e un progetto non solo culturale, ma anche un obiettivo turistico ed economico, insomma, che è un affare. Forti del loro coraggio, e coraggiosi della propria forza, i turbolenti vorrebbero – a cominciare proprio dal Nivolet - addirittura censire tutte le strade esautorate da gallerie inadatte per i ciclisti. Un nome? Quella del Passo del Gavia, perdipiù gravata dalla mancanza di illuminazione.
Ecco: il Nivolet, i suoi tornanti, le sue pendenze, i suoi chilometri, anche la sua luce, il suo profumo, la sua maestosità. Da Locana: una quarantina i chilometri per salire di duemila metri. Da Ceresole: ventidue chilometri per millecentocinquanta metri di dislivello.
Sul sito internet del Velo Club Turbolento ci sono informazioni e commenti, fotografie e appuntamenti, mappe e sogni. In gruppo, si sa, si va più forte.
Marco Pastonesi