La prima bicicletta gliela costruì un meccanico del paese. Nei ritagli di tempo. A pezzi. Con i cerchi di legno e il cambio Vittoria Margherita. Che a dirlo adesso, è roba da museo. Ma a vederla allora, era il meglio che si potesse immaginare. Tanto che quella non gli sembrava una bici, ma un cavallo, perdipiù alato: volava. Danilo Barozzi volava: usciva con i dilettanti della zona, pianura quanta ne bastava per arrivare alle prime salite, poi le salite, dove ci si sfidava. Aveva 16 anni, gli altri arrivavano a 20, eppure lui li batteva.
A Bagnolo in Piano, che più piano non si può, alle porte di Reggio Emilia, erano tutti poveri. Ma nessuno era più povero dei Barozzi: il papà morto di polmonite, la mamma un po’ casalinga e un po’ a lavorare nelle risaie o nella vendemmia, e due gemelli. Danilo era uno dei due: quinta elementare, poi commesso in un negozio di ferramenta e colori. La sua fortuna. Perché una volta la settimana doveva andare a Milano. In bici, s’intende. Lungo — a lui sembrava lunghissimo — la Via Emilia.
Centosessanta chilometri ad andare, cassetta sistemata sul manubrio, dentro la cassetta prodotti e posta, e 160 chilometri a tornare, dentro la cassetta un bel niente, ma dentro di sé una gran fame e una gran sete. Finché un giorno gli dissero di rimanere a Milano: Gran premio Saranga, organizzato dalla “Gazzetta dello Sport”, per allievi, un centinaio di iscritti e 70 chilometri. Era il 19 marzo 1945.
Pronti via e Barozzi andò in fuga. E rimase lì davanti, a portata d’occhio, quasi di mano, ma irraggiungibile come se il gruppo avesse un miraggio, un effetto ottico. Tenne duro e vinse. All’arrivo niente miss, ma molto di più: c’era Tano Belloni, l’eterno secondo, sopracciglia folte come certe creature del bosco. Belloni lo invitò a casa sua e gli regalò anche una sella. Poi Barozzi tornò a casa, con sosta a Casalpusterlengo per dormire da cristiano, e da vincitore. Era inevitabile: a quelle avventure ci prese gusto. Partecipò alla Milano-Cappelletta, una classica, arrivo in salita, sopra Como: e vinse. In paese si cominciò a parlare di Barozzi, e non solo per via della povertà. Finché un giorno un altro meccanico, tal Pecorari, prima gli mostrò una bici firmata con il suo cognome, poi gli fece una proposta: “Se fai il corridore, siamo a posto così. Se smetti, allora mi paghi la bici un po’ per volta, un tanto al mese”.
Barozzi (uno dei miei “Diavoli di Bartali”, Ediciclo) verrà festeggiato stasera, al Teatro Gonzaga Ilva Ligabue di Bagnolo (alle 21, ingresso libero), con lo spettacolo “Un bagnolese al Tour de France”, le sue storie e imprese scritte, dirette e interpretate da Gianluca Paoli, da un’idea di Roberto Dallari, con Sofia Mazza (voce), Corrado Iori (clarinetto e sax), Primo Iotti (piano), Lorenzo Iotti (contrabbasso) e Alessandro Sartori (batteria). Un meraviglioso omaggio al vecchio corridore che, il 21 agosto 1927, arriverà al traguardo dei 90 anni. Un traguardo volante, intermedio, sia chiaro.
Marco Pastonesi