Caro Direttore,
a volte è meglio lasciare "decantare" le emozioni e i sentimenti prima di parlare. Se le assonanze enologiche non mentono, il decorso del tempo giova, o almeno non nuoce, ad una corretta e adeguata riflessione e, soprattutto, alle parole con cui la si esprime. Questa premessa, fors'anche noiosa e apparentemente filosofica, a quanto il Lombardia mi ha lasciato. Negli occhi e nel cuore, perché ritengo che il ciclismo lo si debba saper vedere e al contempo riuscire comunque ad amarlo. Ci aggiungo anche quell'altro prezioso apparato sempre più messo ai margini, la memoria, a costo di sembrare il solito, magari patetico, nostalgico e non "diversamente giovane" (starebbe per soggetto che ha superato i 60, non orari, ma di anni).
Dico subito, a scanso di equivoci, che il Lombardia non l'ha vinto una... mezza calzetta. Come ha scritto, da par suo, Cristiano Gatti, Mollema è un signor corridore che interpreta ancora la fachiresca professione che (egregiamente) svolge nel modo in cui una volta (ecco emergere il nostalgico) s'intendeva il ciclismo. Un'intera, pressochè ininterrotta, stagione di partecipazione alle competizioni. Nel caso dell'olandese, mai una presenza per onor di firma e sovente "indegna": vado ancora a memoria, ma per compassione non cito quei cosiddetti campioni, stranieri per la gran parte, che erano al via di una "nostra" garetta com'è il Giro solo per fare gamba e ritmo in funzione di quant'altro ritenessero meritevole del loro (ben prezzolato) impegno, ma non certo per onorare la competizione, e così almeno rispettare gli organizzatori e, ben di più, gli spettatori-tifosi.
No, pur non eccellendo in alcuna particolare specialità, Mollema è... sempre sul pezzo, stantuffando fino allo stremo pur di restare attaccato ai migliori foss'anche con i denti: per questo è stimato e apprezzato, dai colleghi e dalla gente in strada. Vince poco, sì, ma quando capita vince con merito e, soprattutto, senza rubare nulla a nessuno, o con furbate che, alla lunga, nel professionismo (così come nella vita) non pagano. Dunque, bravo Mollema ea applausi per un prestigioso podio della Classica d'Autunno. Con Valverde e Bernal può ben dirsi quanto contino sempre certi nonni, anche nel ciclismo, per nipotini che vogliano imparare.
Superfluo dire che, nonostante questo bel quadretto, il non vedere un corridore italiano competere con i migliori, nella circostanza certamente anche i "più forti", mi ha lasciato un mix di sensazioni non del tutto gradevoli: dalla perplessità all'illusione, dallo sconcerto alla delusione, dallo sgomento al timore, francamente le ho provate tutte. Per non farla lunga, mi pongo domande che, sono certo, almeno qualche altro centinaia di migliaia di "appassionati" si è posto e a buon diritto si pone: ma dove sono i nostri? Chi abbiamo di veramente competitivo a livello internazionale? Chi ha vinto il Fiandre, osannato come il salvatore della Patria, che fine ha fatto? Ma è proprio vero che dopo Nibali (che il buon Dio, anche solo del Ciclismo, ce lo conservi in forma ancora a lungo!)... il diluvio? Potrei continuare, ma temo che il cuore ne risentirebbe. Quindi mi fermo qui.
Sconsolatamente, non trovo risposte: non ho la presunzione di conoscere, se veramente ci sono, le ragioni di questo scoraggiante momento, né le contromisure da adottare. Auspico che chi ne ha le competenze, tecniche e culturali (ho scritto proprio culturali, perché anche il ciclismo è cultura!), abbia la bontà di fornirmene qualcuna ragionevole, condivisibile e soprattutto utile per risolvere il problema. Semmai occoresse, rammento a me stesso una frase rivoltami personalmente proprio dal fuoriclasse di Sicilia: "Il ciclismo non perdona". Ecco, riflettere seriamente su questa tanto semplice quanto emblematica considerazione, già sarebbe una buona base di partenza.