E’ nato su una bici da corsa. E’ stata la sua culla e il suo girello, il suo asilo e le sue elementari, la sua merenda e la sua torta. E’ stato il suo primo amore, con quello che ne consegue: che non si scorda mai. E’ stato il suo romanzo di avventure, il suo film di azione, il suo teatro di arte drammatica. E’ stato il suo primo gioco, così serio da allungare la passione in professione.
Mattia Turrina era così piccolo che la sua prima bici proprio non se la ricorda. E non si ricorda neppure la sua prima da corsa. Non è riuscito neanche ad affezionarsi a una sola bici: perché le ama tutte. Quelle al carbonio e quelle di acciaio, quelle da montagna e quelle da passeggio, quelle a due sacche e quelle a due posti. Ci vive, ci abita. Cicli Turrina – vendita, assistenza e abbigliamento -, via Busa 27, Ospedaletto di Pescantina, a due pedalate da Verona.
Mentre raddrizza una ruota: “Convinto a correre nella scia di un cugino che già correva. La prima corsa, a San Massimo, non l’ho finita. La seconda sì. La prima vittoria da esordiente, insperata, in una volata a due. Me le ricordo tutte, le mie vittorie, forse perché non sono state tante, però bellissime. Sul Ghisallo, da junior, da solo. Due volte la Schio-Ossario del Pasubio, da dilettante, e due tappe del Giro delle Valli Cuneesi…”.
Mentre avvolge un nastro: “Professionista nel 2007, con la Diquigiovanni. La Settimana Coppi e Bartali e la Settimana lombarda, nelle Astorie e in Baviera, alla Milano-Torino e alla Coppa Sabatini, perfino nel Giro della Cina al Qinghai Lake. Solo un anno, abbastanza per capire le mie reali potenzialità, che non erano abbastanza per essere davanti. Ma sono stato fortunato: niente cadute, niente infortuni, niente incidenti, e niente rimpianti. Ci ho provato”.
Mentre regola un cambio: “Scalatore. Per istinto, per natura, per fisico. Il bello di fare fatica, il bello di guardare il mondo dall’alto in basso e potersi dire ‘ma guarda dov’ero 10 chilometri fa’. Laggiù, un punticino, un insetto, un coriandolo. La salita più dura? Punta Veleno, in Trentino: una volta l’anno, anche adesso, però mai in corsa. Piedi a terra? Finora no, ma prima o poi capiterà. La cotta? Tante, ma la più crudele in una tappa del Giro del Veneto, da dilettante, con Giau, Staulanza e Colle Santa Lucia, acqua e freddo, non arrivavo più, infine sesto, ma a un quarto d’ora dai primi”.
Mentre tira un raggio: “Cinque anni al Giorgi, la scuola dei ciclisti, si dice così, perché ci andava anche Cunego, e diploma di meccanico. Nel 2009 il primo negozio-officina, sotto casa, dal maggio 2017 questo qui, più grande, più spazioso, più aperto, con mio fratello Elia e mia sorella Chiara, insieme in un sogno avventuroso, in un’avventura che sognavamo. E la domenica, una sacrosanta pedalata con gli amici: lungo il lago o sul Monte Baldo, con Bellotti e Pietropolli, con Kreuziger, con quelli che si mettono a ruota e quelli che fanno la gara”.
Mentre ammira un telaio: “La bici è un’opera d’arte: e la forma del telaio è la prima cosa che mi affascina. La bici è un elisir: e dopo una settimana pesante, quando le cose non vanno diritte, fa recuperare e risorgere. La bici è una scuola: insegna ad allenarsi, a mangiare, a riposare, e che gioia quando vedo un ragazzino che pedala. La bici è una ricerca: nelle innovazioni tecnologiche, ma anche nei percorsi personali, mentali, spirituali”.
Marco Pastonesi
Nella foto, da sinistra, Elia e Mattia Turrina nel loro negozio di Ospedaletto