Mara Dal Borgo, che ha cominciato a correre a un anno e mezzo: con il triciclo giallo e nero pedalava in casa, tra camere e corridoi, fino al traguardo, in cucina.
Martina Centomo, che si è guadagnata un soprannome che non lascia dubbi sull’origine, lombarda, e sul carattere, tenace, ma che certo non valorizza la sua femminilità: Panizza.
Ivana Panzi, che ha esordito a 17 anni, con la bici di un vicino di casa e, già che c’era, anche con le sue scarpe: miracolosamente aveva il suo stesso numero di piede, il 38.
Francesca Gatto, che alla sua bicicletta ha addirittura scritto una lettera d’amore, tant’è che l’ha sposata, quasi, cioè il giorno del matrimonio in chiesa ci è andata con l’abito bianco proprio sulla sua bici da corsa.
Morena Tartagni, che è cresciuta in una famiglia non solo senza auto, ma anche senza frigo e tv, così la bici rappresentava tutto, il piacere e anche il lusso, soprattutto i viaggi e il mondo: le prime pedalate sono state la Bollate-Como-Bollate, 90 chilometri, e la Bollate-Romano Lombardo-Bollate, 120.
Elisabetta Maffeis, che per allenarsi si alzava alle quattro e mezzo del mattino e alle otto era in fabbrica a lavorare.
E Mariateresa Baronchelli, che continua a pedalare, ma su una cyclette, e intanto legge un libro o lavora a maglia.
“Ciclismo femminile? Sì, grazie!”. Non ci sono soltanto Elisa Longo Borghini ed Elena Cecchini, Letizia Paternoster ed Elisa Balsamo, ma da Alfonsina Strada a Maria Canins per le sorelle Alessandra e Valeria Cappellotto, c’è un bel gruppo di eterne ragazze e un patrimonio di umane commedie, a due ruote rotanti e, qualche volta, inevitabilmente, arrotate. Simone Cigana ne ha raccolte una quindicina per Alba Edizioni (134 pagine, 10 euro): lui non è uno scrittore, ma direttore di gara e dirigente sportivo, ed essere addetto ai lavori gli ha permesso di collezionare ricordi e confidenze, esplorare curiosità e aneddoti, regalare racconti e storie.
Lucia Falcomer, che da piccola gareggiava solo con i maschi, e i suoi compagni di squadra la proteggevano, poi però nel finale tiravano fuori i denti per non arrivare – che vergogna - dopo di lei. Kettj Manfrin, che ammette come la decisione di abbandonare l’attività non sia stata semplice, ma quando non è più riuscita ad alzarsi la mattina con l’entusiasmo per allenarsi, ha capito che era arrivato il momento di mollare. E Martina Ursella, che continua ad andare alle corse, ma da angelo custode, su un’ambulanza.
Oggi le italiane in bicicletta riempiono le strade delle città e rallegrano quelle del cicloturismo, illuminano le corse d’epoca, mangiano la polvere sugli sterrati, conquistano ori e allori olimpici, mondiali ed europei. Bellezze, sempre. Bellezze, per sempre.
Marco Pastonesi