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L'ORA DEL PASTO. FAVOLA DA GUARDARE
dalla Redazione | 28/03/2017 | 07:05

Il 19 marzo, il giorno di san Giuseppe, si affacciava al balcone e guardava una favola. Perché le favole si raccontano, si leggono e si ascoltano, ma certe di guardano. Come al cinema, come al teatro. E quella si guardava. Davanti al portone della sua casa, a Milano, in corso Italia, prima passavano le macchine, quelle festanti della carovana pubblicitaria, poi le moto, quelle della polizia, quindi i corridori, bici maglie cappellini, occhi nasi gambe, colori colori colori, poi ancora le macchine, quelle delle squadre, cariche di uomini e biciclette. Un corteo magico, una processione stupefacente. Era la Milano-Sanremo. La corsa partiva da un castello, quello sforzesco, e arrivava al mare, quello ligure. Fra la partenza e il traguardo nascevano avventure, disavventure, storie.

Una ventina di anni dopo, quel bambino era un uomo, e quell’uomo era fra i corridori. Partì dal Castello Sforzesco, pedalò sui lastroni e il pavé del centro, attraversò con attenzione i binari del tram, imboccò corso Italia, guardò il balcone al primo piano di quel vecchio palazzo, forse sperando di vedere gli occhi brillanti di un bambino innamorato del ciclismo. Non vide il bambino, e non vide neppure il palazzo, ce n’era uno nuovo, tutto vetri. Allora chinò gli occhi sul manubrio e continuò a pedalare, alla scoperta del mondo, pronto ad avventure, disavventure, storie.

Alberto Morellini è sempre rimasto lì, un po’ al balcone, guardando sotto, un po’ in bicicletta, guardando davanti. Adesso che ha quasi 78 anni, ha cominciato a guardarsi dietro e dentro. E così ha scritto un libro, lo ha intitolato “Le mie due ruote”, lo ha riempito di ricordi e confidenze, corse e vittorie, foto e articoli, amici e rivali, luoghi e uomini, incroci e bivi, insomma: avventure, disavventure, storie. Le sue.

Quando concluse la scuola in prima media, d’altra parte le uniche materie in cui eccelleva erano ginnastica e geografia, entrambe – a ben vedere - ciclistiche. Quando il padre gli comprò una bici, e siccome un parente lavorava alla Bianchi in viale Abruzzi, gliela comprò con lo sconto, modello Campionissimo, prezzo alla cassa 40 mila lire. Quando cadde sull’acciottolato di una discesa, e per salvare la Bianchi, sacrificò volentieri la schiena. Quando suo padre, per scoraggiare i ladri, gli ordinava di dormire nel magazzino di calze all’ingrosso, e lui per la paura dei ladri passava le notti in bianco. Quando, a 15 anni, con un amico, fece la Milano-Sori-Milano, 340 chilometri, e al ritorno alla Conca Fallata batté il suo amico in volata. E quando il padre, scoperta l’avventura, minacciò: “Mì che la bici chì te la fu a rundei”, io questa bici qui te la riduco a rondelle.

E poi quella volta che Renzo Zanazzi gli dette la prima bici (una Legnano) e la prima maglia, e anni più tardi gli dette un’altra bici e un’altra maglia giurandogli che per lui ci sarebbero sempre state altre bici e altre maglie. E poi quella volta che vinse il campionato lombardo della Coppa Italia, e quella volta che conquistò il titolo italiano dilettanti, e tutte quelle volte che tagliò il traguardo primo in volata o per distacco, e tutte quelle volte che gli negarono la maglia azzurra o il passaggio al professionismo, e quella volta che finalmente arrivò al professionismo, al Giro d’Italia, al quinto posto nella tappa di Savona, quella di Roberto Ballini in lacrime per la vittoria e di Eddy Merckx in lacrime per l’espulsione. Le sue due ruote fra Gino Bartali direttore tecnico e Gastone Nencini direttore sportivo, fra Fausto Coppi l’eroe e Paolo VI il papa, fra le amatriciane di Carlo Rancati e le risate di Rudi Altig, fra la trippata per 50 persone vinta per scommessa e il cazzotto ricevuto in piena faccia da Vincenzo Mantovani. E quella volta che, nell’ultima tappa del Giro del Piemonte, mentre si preparava alla volata finale vide il tubolare afflosciarsi, e allora scese dalla bici, la scambiò con quella da donna di un ragazzo, e con quella tagliò il traguardo.

“Le mie due ruote” non è in vendita. Ma in qualche osteria dell’Oltrepo Pavese, su qualche argine del Naviglio, o al risotto di Masone il giorno della Milano-Sanremo, la favola di Morellini può sempre essere ascoltata. E, come dal balcone di quel vecchio palazzo a Milano, in corso Italia, guardata.

Marco Pastonesi

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