Era un peso piuma, 1,58 (ma c’è anche chi sostiene 1,62) per 55, e aveva la faccia di un bambino. Faceva tenerezza. La bici, qualsiasi bici da uomo, giganteggiava su di lui. Accanto a colleghi scolpiti nella roccia, come Bartali, o avvolti già dal mito, come Coppi, Jacques Marinelli sembrava fuori posto, lì per caso o scommessa. Invece, tubolari a tracolla, due borracce sul manubrio, tasche gonfie di cibo, partecipava, correva, soffriva, attaccava, staccava, vinceva. Una settimana in maglia gialla, era il Tour de France del 1949.
Marinelli è morto giovedì scorso, aveva 99 anni, rappresentava la più vecchia maglia gialla. Si racconta che sua madre, per proteggerlo, più che alla bici sperava che si dedicasse alla fisarmonica, ma cedette davanti alla sua passione. Fra “Jacky” come lo chiamava il suo meccanico di Le Blanc-Mesnil, alle porte di Parigi, dov’era nato il 15 dicembre 1925, e “Marinette” come lo soprannominavano i compagni di squadra, prevalse “la Perruche”, il parrocchetto, come lo definiva Jacques Goddet, patron dell’Equipe e del Tour per il colore verde della sua maglia dell’Ile-de-France, formazione regionale destinata a dare battaglia. E il 3 luglio 1949, nella Boulogne-sur-mer-Rouen, quarta tappa, 185 km, il Parrocchetto dette battaglia e spiccò il volo: secondo al traguardo dietro a Lucien Teisseire, conquistò il primato in classifica con quasi 13’ di vantaggio su Coppi e Bartali. La maglia di lana, consegnata dalla cantante Line Renaud, vedette della carovana pubblicitaria, gli stava enorme: non era previsto che a indossarla fosse un bambino. Goddet scrisse: “Un parrocchetto si è trasformato in un canarino”, alludendo al giallo della maglia. E lo scrittore Max Falavelli: “E’ un pigmeo. Il suo corpo non è più spesso di una matita a mina, le sue gambe di due fagiolini. E la sua testa è come un pugno”. L’Equipe si prodigò nel creargli una leggenda, il giorno dopo titolò la prima pagina con “le Roman d’un enfant du Tour”, il romanzo di un bambino del Tour, ne tirò 650mila copie, probabile che non ne rimase invenduta neppure una, invece Le Parisien gli incollò Roger Bastide, sociologo, antropologo e scrittore, per dipingere l’epopea di questo corridore bambino. Il parrocchetto diventato canarino, felice ma non appagato, continuò a sognare e spingere, il giorno dopo entrò in un’altra fuga – primo Kubler - e guadagnò 5’30” su Bartali e Magni e 18’43” su Coppi. Primato in cassaforte. Finché il 10 luglio fu Fiorenzo Magni a impadronirsi della maglia gialla. Ma Marinelli non avrebbe mai mollato. Tant’è che a Parigi salì sul podio, primo Coppi, secondo Bartali a 10’55”, terzo lui a 25’13”.
Poi Marinelli avrebbe spiegato di essere stato vittima dei suoi stessi compagni, forse gelosi, forse invidiosi, comunque poco generosi. Lui invece fu generoso, alla fine del Tour divise con loro i guadagni, poi pensò finalmente a sé stesso, due mesi di circuiti, ogni circuito un ingaggio, guadagnò, risparmiò, infine spese e si concesse per la prima volta l’acqua corrente in casa.
Marinelli era troppo piccino per poter competere con quei campioni, un parrocchetto è niente se confrontato con aironi e aquile, uomini di ferro e pedalatori di fascino. Avrebbe corso da professionista fino al 1954, come Bartali, solo che Bartali aveva 40 anni, lui 28. Nel frattempo aveva collezionato solo due vittorie di tappa al Delfinato e altre due nella poco classica Parigi-Montceau les Mines, più qualche circuito. In altri cinque Tour de France, quattro abbandoni e un 31° posto; in un Giro d’Italia, quello del 1951, il 71° posto. Si sarebbe fatto onore nella vita, Marinelli, prima con una bottega da ciclista a Melun (fuori, al vento, una bandiera con la scritta “Maglia gialla al Tour”, poi con un negozio della catena Conforama, mobili per la casa ed elettrodomestici, infine con una propria azienda, 150 dipendenti e camioncini color giallo. Si prestò anche alla politica, due mandati, totale 12 anni, come sindaco a Melun.
Nel coccodrillo, l’articolo commemorativo con cui L’Equipe lo ha oggi celebrato, si racconta una confidenza dello stesso Marinelli: mentre gli firmava un autografo, un tifoso gli domandò se non si ricordasse di lui, “le avevo allungato una borraccia sul Tourmalet”. Proprio vero che, grazie al ciclismo, il tempo si ferma, il tempo non passa mai, è sempre tempo di ciclismo.