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L'ORA DEL PASTO. OLIMPIADI, PINDARO E QUELLE POESIE DEDICATE AGLI EROI
di Marco Pastonesi | 08/08/2024 | 08:12

“Se tu vuoi celebrare i giochi, mio cuore, non cercare nella luce diurna, nel deserto cielo, un astro più ardente e luminoso del sole: non credere di poter cantare un agone più grande di quello di Olimpia”.

Pindaro non era un cronista, ma un poeta. Si esprimeva in dialetto dorico, componeva epinici (poi cantati in coro durante solenni banchetti) su ordinazione, non aveva editori ma ricchi che lo sostenevano e finanziavano, viaggiava e creava. Era nato vicino a Tebe, in Beozia, che non doveva poi essere abitata solo da idioti e analfabeti, durante la Olimpiade numero 65, o più precisamente come lui stesso si gloriava, durante i giochi Pitici, pare nel 518 prima di Cristo. E con molta arte e un po’ di retorica, si impose come il primo infinito cantore dello sport.

Più che dello sport, degli atleti. Dei, semidei, eroi, miti. Pindaro componeva piccole monografie. Toglieva il freno a mano e apriva il gas. Piede pesante, però mano leggera, aerea, volatile, classica. Sedici Olimpiche, i giochi dedicati a Zeus, che si tenevano a Olimpia; dodici Pitiche, i giochi dedicati ad Apollo, che si disputavano a Delfi; undici Nemee, anche questi dedicati a Zeus, ma ospitati nel Peloponneso; e otto Istmiche, i giochi dedicati a Poseidone, che si svolgevano nell’istmo di Corinto. Atleti, rigorosamente maschi, che si erano imposti dalla lotta al pugilato, dal pancrazio al pentathlon, dalla corsa a piedi a quella a cavallo: ce n’era per sbizzarrirsi.

Le poesie olimpiche (e pitiche, e nemee, e istmiche) di Pindaro non sono in versi e rime, ma veri pezzi, storie, racconti, con reminiscenze e addirittura scoop. Pelope, il figlio di Tantalo, per esempio, considerato dallo stesso Pindaro il fondatore delle Olimpiadi (lo stesso Pindaro avrebbe poi citato Eracle: “I miti, si sa – scrivono Eva Cantarella e Ettore Miraglia in “L’importante è vincere”, Feltrinelli, del 2016 – hanno molte varianti”): “Gli dei, che non conoscono morte, rimandarono suo figlio, Pelope, fra la razza caduca degli uomini. E quando, nel rigoglio del corpo, virile peluria annerì il suo mento, Pelope concepì di sposare la famosa vergine Ippodamia: suo padre, re di Pisa (città non lontana da Olimpia, ndr), metteva in palio queste nozze. Egli scese allora presso il biancheggiante mare, solo, nell’ombra notturna, e chiamò il dio del tridente, scuotitore degli abissi. E il dio gli fu accanto, viso a viso. Pelope allora gli disse: ‘Se il mio corpo ti ha dato gioia, o Poseidone, ebbene sì, imbriglia la bronzea lancia di Enomao, e sul carro più veloce conducimi laggiù, nell’Elide, e dammi in mano la vittoria. Ben tredici pretendenti Enomao ha già ucciso e sempre rimanda le nozze della figlia […]’. Così disse, e le sue parole non andarono perdute. Per renderlo grande, il dio gli diede un carro d’oro e i cavalli alati, instancabili. Cedette a lui il crudele Enomao, e Pelope gli strappò la figlia, prendendola in moglie […]. Giace e riposa presso le rive dell’Alfeo, la sua tomba è onorata dai passi dei visitatori presso l’altare più celebrato e più grande. La gloria di Pelope, grazie alle corse di Olimpia, risplende dappertutto, lontano”. Volendo, qui c’era già tutto: lo sport e l’amore, la competizione e il matrimonio, la fama e perfino un antenato del doping (l’aiuto degli dei, nella circostanza Poseidone, che gli donò cavalli alati).

Pindaro fu un autore di grande successo. Quinto Orazio Flacco, in arte Orazio, poeta romano, 350 anni più tardi lo celebrava così: “Forti colpi di vento in alto levano / per le distese delle nubi il cigno / tebano”; e già lo aveva paragonato a un torrente che precipita dal monte straripando. Pindaro compose anche odi, inni, canti funebri. La modestia non era il suo forte: “I miei canti sono dardi vigorosi, affilati e limati dalla Musa dei poeti. Ci sono grandezze di ordine diverse: ma la più alta vetta è tenuta dalla maestà dei re. Non portare il tuo sguardo più lontano. Possa tu sempre librarti sulle cime, mentre io intanto sarò presso ai vincitori e mi renderò noto per la mia arte in ogni terra abitata dai Greci”.

Quanto ai voli pindarici, in cui il poeta scartava e divagava, fantasticando ed esagerando, non esiste nulla di più olimpico di un volo. Nel tiro a volo, nei salti e nei lanci, nell’inseguimento e negli sprint, sulle onde e fra le onde, da una piattaforma o tra le farfalle della ginnastica ritmica. Pindaro aveva capito tutto. Pagando, s’intende.

(la prima puntata sugli scrittori alle Olimpiadi è stata dedicata a Pier Paolo Pasolini: https://www.tuttobiciweb.it/article/2024/08/06/1722863315/ora-pasto-pier-paolo-pasolini-olimpiadi-roma-1960)

 

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