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ADDIO LUISIN, IL CAMPIONE CHE SORRIDEVA ALLA VITA
di Marco Pastonesi | 07/02/2024 | 11:43

E’ morto anche il Luisìn. Stamattina. E, conoscendolo, anche stavolta il Luisìn avrà sorriso. Lo faceva quando correva, quando ricordava, quando raccontava, quando incontrava i suoi vecchi amici – Marino Vigna, fino alla fine – nella sua ultima dimora conosciuta, un letto, una carrozzina, una camera, una casa di riposo a Desio, la sua Desio, dov’era nato il 6 gennaio 1937, 87 anni, un mese e un giorno fa. Un viaggio di andata e ritorno, partenza e arrivo, da sostituire solo gli striscioni.

Luigi Arienti sorrideva alla vita. Il primo sorriso ciclistico fin dalla prima corsa: Angelo, il fratello maggiore, che organizza la gara, invita Luigi e gli presta una bici, e Luigi, che al traguardo batte Angelo in volata. Quinto di sei fratelli (cinque fratelli e una sorella), esordiente, allievo, dilettante, il 1960 è l’anno d’oro – il Luigi d’oro - del Luisìn, campione lombardo e laziale su pista e nel cross, primo ai Giochi del Mediterraneo su pista, primo nel Trofeo Alcide De Gasperi su strada, e ai Giochi olimpici di Roma primo nel quartetto dell’inseguimento su pista (con una Colnago mascherata, ed è anche la prima medaglia d’oro per l’infinita storia d’oro della Colnago). “Il premio per gli olimpionici è una Fiat 500 verdina. La ritiriamo, io e il Maestro, e ci sfidiamo: da Desio a Monza, io a destra, lui a sinistra, io mezzo sulla ghiaietta, lui mezzo sulla corsia di sorpasso, pronti-via, vince lui”. Il Maestro è Giacomo Fornoni, oro a Roma nel quartetto della cento chilometri su strada: “Un giorno – mi racconta il Maestro – su quella Fiat 500 verdina siamo su io e il Luisìn. Pigio sul pedale di destra. ‘Attento, c’è una curva’. Troppo tardi: ci cappottiamo. ‘Possibile – dico al Luisìn – che non riusciamo a fare questa curva a 70 all’ora?’. ‘Giusto – mi fa eco il Luisìn – possibile che non ce la facciamo?’. Usciamo, giriamo la 500, torniamo indietro, rifacciamo la curva, pigio sul pedale di destra, 70 all’ora, riproviamo la stessa curva e ci ribaltiamo. Non è più una 500: a forza di prendere botte, si è rimpicciolita. Forse è diventata una 400”.

Il Luisìn e il Maestro passano professionisti. Nella Molteni. E fanno impazzire non solo Giorgio Albani, direttore sportivo, ma anche Vincenzo Torriani, patron del Giro d’Italia: “Giro d’Italia 1961. Si festeggia il centenario della nascita del Regno d’Italia. La quarta tappa arriva a Cagliari, la quinta parte da Marsala. Viaggiamo tutti su una motonave spagnola, Cabo San Roque. Sbarchiamo con il giubbotto di salvataggio. Io e Charly Gaul gli ultimi due a lasciare la motonave e poi la scialuppa. ‘Torriani – protesto – io faccio il corridore, non il garibaldino”. Ogni corsa un’avventura: “Circuito di Acireale 1961. Cinquantamila spettatori. Guerra all’ultimo giro. Primo Gastone Nencini, ultimo addirittura Ercole Baldini. A saperlo, mi sarei sforzato un po’ di meno”.

Il capolavoro in una tappa della Parigi-Nizza 1962: “Pioggia, vento, freddo. Io e il Maestro carichi a dovere per attaccare insieme fin dalla partenza. Chi tenta di seguirci, lo minacciamo: ‘Andate via, questa è roba di famiglia’. Via come treni, da soli, come se fosse il Trofeo Baracchi, un quarto d’ora di vantaggio sul gruppo. ‘Dove sono gli altri?’, chiedono i tifosi lungo la strada. ‘C’è stato uno sterminio – annunciamo – tornate pure a casa’. Albani si raccomanda di mangiare, la tappa è lunga, il tempo brutto, la solitudine faticosa. Poi, imprevisti, 35 chilometri di strada in più. E qui ci assale una cotta tremenda. Come se non bastasse, foro. ‘Luisìn, dai che ti aiuto a cambiare la ruota’, mi fa il Maestro, che non vede l’ora di scendere dalla bici e tirare il fiato. ‘No, no, va’ all’arrivo, vinci anche per me’, lo incoraggio. Altroché. Il Maestro fa ancora qualche chilometro, poi delira, entra in un casolare, implora da mangiare, viene caricato su un cellulare, finisce in albergo. Io tengo duro, arrivo al traguardo un’ora e mezzo dopo il primo, entro in un panificio e divoro l’impasto senza lievito”.

Il Luisìn non dimentica la pista: “Campionati italiani su pista. Inseguimento individuale professionisti. Nel 1962: primo Leandro Faggin, secondo io, terzo il Maestro. Nel 1964: primo Faggin, secondo io, terzo Francesco Costantino. Ma solo perché Baldini non andava più”. E le Sei Giorni: “Penso: se Nando Terruzzi, che è il migliore, ha 37 anni e la pancia, io spacco il mondo. Che fesso. Io mi impegno e attacco, ma il mio compagno fora o si rialza. Peter Post e Rudi Altig, i padroni delle Sei Giorni, ripetono: ‘Luisìn grande corridore, poca testa’. Finché trovo la mia valigia fuori dal camerino. Allora finalmente comprendo come va la vita. Fritz Pfenninger, altro boss, impartisce gli ordini: ‘Luisìn, tu perdi tre giri’. E io, per non sbagliare, ne perdo quattro”. Che notti: “Una volta non riesco a dormire. E neanche Sante Gaiardoni. Allora ci sfidiamo, nudi, su due Grazielle. E Vittorio Adorni a fare lo speaker”. Luisìn, a parole, un campionissimo: “Giro di Lombardia. Non ne ho più. Salto il Muro di Sormano e vado direttamente all’arrivo. Me ne porto dietro una trentina: chi non ha visto la deviazione e mi segue, chi l’ha vista e mi segue, chi l’ha vista e dice di non averla vista…”.

 

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