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DIECI FACCE DA TOUR
di Angelo Costa | 25/06/2021 | 14:40

Pochi arrivi in salita: tre soltanto. Ma parecchie montagne: in una tappa, si scala due volte il Ventoux. E, di nuovo, tanta cronometro: 58 chilometri, distribuiti in due razioni, il quinto e il penultimo giorno. Ricollocato nel suo abituale periodo estivo, leggermente in anticipo per via delle Olimpiadi e un po’ disturbato dalla concorrenza degli Europei di calcio, il Tour ritrova anche uno spartito più tradizionale, mantenendo la recente abitudine alle tappe corte (soltanto tre oltre i duecento chilometri, una delle quali di quasi 250…) e presentando fin dall’inizio frazioni con abbastanza pepe per delineare subito la classifica. Si parte dalla Bretagna, posticipando al 2022 il via dalla Danimarca causa covid e rendendo inevitabilmente omaggio al leggendario Bernard Hinault, ultimo francese a vincere il Tour ormai 36 anni fa, poi si taglia la Francia per scalare le Alpi prima dei Pirenei. Tracciato per corridori completi, anche se più di uno lascerà la corsa a metà, a cominciare da Van der Poel, utilizzando la prima parte per rifinire la preparazione per i Giochi. Pochi gli italiani, appena nove, come nei primi anni Ottanta: a parte il tricolore Colbrelli e Nibali che si allena per i Giochi, tutti per aiutare. Ecco le dieci facce che hanno più probabilità di sfilare sui Campi Elisi a Parigi.

Tadej Pogacar. Vince perché è il più forte in circolazione, perché lo ha fatto da debuttante a 22 anni la scorsa estate, perché in questa stagione ha praticamente conquistato tutto ciò che ha corso. Non vince perché, come pensano in parecchi, non ha accanto una squadra solida come la Ineos e la Jumbo.

Primoz Roglic. Vince perché deve riscattare la delusione di un anno fa quando perse l’ultimo giorno, perché negli ultimi quattro grandi giri disputati ha sempre chiuso sul podio, perché ha puntato tutta la stagione su questo obiettivo. Non vince perché non corre da due mesi e alla fine pesa.

Richard Carapaz. Vince perché in Svizzera ha appena dimostrato di essere in palla, perché ha accanto una squadra all’altezza di quella di Roglic, perché ha abbastanza salite per guadagnare. Non vince perché avrebbe bisogno di cronometro con meno chilometri.

Geraint Thomas. Vince perché questa è la corsa che gli riesce meglio, perché nelle ultime due occasioni una l’ha vinta e l’altra ha fatto secondo, perché avere accanto Porte e Geoghegan Hart gli toglie un po’ di peso. Non vince perché spesso la fortuna si dimentica di lui.

Rigoberto Uran. Vince perché si fa sempre trovare pronto quando corre, perché c’è andato vicino già una volta, perché con l’età ha imparato a non sprecare una goccia di energia. Non vince perché con i più giovani non basta  restar lì in salita, ma bisogna anche staccarli.

Miguel Angel Lopez. Vince perché a 27 anni è nell’età della maturità, perché ogni volta che ha finito un grande giro è sempre finito nei primi otto, perché aver accanto l’esperienza di Valverde è un bel vantaggio. Non vince perché c’è troppa crono per chi, come lui, contro il tempo non è un drago.

Julian Alaphilippe. Vince perché ha un tracciato che gli consente di gestire meglio le sue qualità, perché sa cosa significa comandare questa corsa, perché diventare padre gli ha dato un’energia maggiore. Non vince perché sulle grandi salite ha una marcia in meno rispetto agli sloveni.

Jakob Fuglsang. Vince perché a 36 anni ha l’ultima occasione per provarci, perché ha calibrato l’intera stagione su questo appuntamento, perché si difende bene su tutti i terreni. Non vince perché lottare per il podio richiede qualcosa di più della regolarità.

Michael Woods. Vince perché è il primo grande giro che affronta da capitano, perché avere accanto l’esperienza di Froome gli darà una mano, perché in salita difficilmente si fa lasciare per strada. Non vince perché nelle crono paga un pedaggio troppo elevato per sperare nel podio.

Nairo Quintana. Vince perché non si arriva due volte secondi in questa corsa per caso, perché è da troppo tempo che non manda segnali da protagonista, perché in questa stagione sembra avere un passo più convincente. Non vince perché illude sempre poi si spegne.

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