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CONCA. «FIANDRE E LOMBARDIA NEL CUORE, MA DEVO CAPIRE ANCORA CHE CORRIDORE POSSO ESSERE» GALLERY
di Francesca Monzone | 17/12/2020 | 08:00

Quando il ciclismo italiano è ripartito nello scorso mese di luglio, Filippo Conca è arrivato primo a Imola con la maglia della Biesse Arvedi. E poco dopo per lui si sono aperte le porte del World Tour grazie ad un contratto con la Lotto Soudal. Nel team belga Conca troverà un amico che lo aiuterà: si tratta di Stefano Oldani, che al team belga è arrivato lo scorso anno. Conca è giovanissimo e al ciclismo è arrivato grazie alla sorella Sabrina, di nove anni più grande e che per un anno ha corsa da professionista. Il giovane lombardo vuole crescere, non sa cosa lo aspetterà in futuro, ma di certo vuole fare bene e vincere un giorno una tappa al Giro d’Italia o una Classica.

A settembre aveva dichiarato che in Lotto Soudal non si sarebbero pentiti di averla presa in squadra e che lo avrebbe dimostrato. Perché scegliere Filippo Conca?
«Voglio dimostrare di avere un ottimo margine di miglioramento e la possibilità di trovare il giusto spazio tra i professionisti. Penso di essere un ragazzo sul quale poter puntare, devo imparare ancora molto ma so che mi impegnerò fin dall’inizio».

Nella Lotto Soudal ci sarà anche un altro italiano, Stefano Oldani, che lei conosce bene. Vi siete già incontrati dopo la firma del contratto?
«Io e Stefano ci conosciamo benissimo, praticamente da quando abbiamo sei anni, perché correvamo già insieme. Ci siamo visti la scorsa settimana in Belgio quando siamo andati a fare le visite mediche e sono certo che potrà aiutarmi molto ad inserirmi».

A gennaio andrete in Spagna e sarà il suo primo ritiro con la squadra. Come vi state organizzando con il Covid-19?
«Saremo divisi in tre gruppi di lavoro differenti. Io andrò ad Oliva e gli altri due gruppi saranno sempre nella stessa zona, ma non troppo vicini. Sarà un momento importante per me, perché potrò conoscere la squadra e instaurare subito un rapporto con i compagni».

Lei che tipo di corridore è?
«Sono molto alto e pesante e per questo non ho caratteristiche da scalatore: sono alto 190 cm e peso tra i 73-78 kg. Nelle categorie giovanili ho dimostrato che potevo andar bene in salita, ma uno scalatore è comunque sempre più forte di me. Devo ancora scoprirmi come corridore, non so dove riuscirò ad arrivare e spero di poter capire presto quali sono le mie attitudini».

C’è stata la pandemia quest’anno che ha notevolmente ridotto le corse. Come ha vissuto questa fase?
«La mia prima corsa è stata il Laigueglia, ho corso con i professionisti e sono arrivato decimo. Purtroppo per me la stagione si è fermata in quel momento a causa della pandemia e sono tornato a correre in gara a luglio a Imola grazie a ExtraGiro dove sono arrivato primo. Durante il lockdown ho fatto i rulli e poi appena è stato possibile sono tornato ad allenarmi in strada».

E’ preoccupato per il futuro del ciclismo?
«Sono preoccupato per le categorie giovanili. Bene o male per i professionisti la situazione è migliore, penso che saranno poche le gare che annulleranno, mentre per i giovani sono già state cancellate molte gare per la prossima stagione. E’ un peccato questo, perché i giovani hanno bisogno di gareggiare per crescere e misurarsi».

La sua passione per il ciclismo come è nata?
«Mio padre è sempre stato un grande appassionato di questo sport, ma tutto è nato con mia sorella Sabrina, più grande di me di 9 anni. Lei faceva ciclismo e così anche io ho espresso il desiderio di poter correre, lei era allieva e io avevo sei anni quando ho cominciato. Poi lei è diventata professionista, ma dopo un anno ha deciso di smettere, mentre io ho fatto tutte le categorie e adesso avrò la possibilità di correre nel World Tour».

Esiste un corridore in particolare che l’ha ispirata e al quale vorrebbe assomigliare?
«Sicuramente Thomas De Gendt. Mi piace il suo modo di correre in attacco, è sempre stato la mia fonte di ispirazione da tantissimi anni. Ricordo la tappa che vinse nel 2012 allo Stelvio con un attacco solitario incredibile. Quel giorno rischiò di ribaltare la classifica del Giro d’Italia, era decimo e all’improvviso si ritrovò terzo. Non ha più fatto classifica nei grandi giri, ma è rimasto sempre uno straordinario attaccante».

Quale corsa le piacerebbe vincere?
«Le mie preferite sono il Giro delle Fiandre e il Giro di Lombardia, ma sarebbe bello anche poter vincere delle tappa al Giro d’Italia. La corsa rosa è il massimo per ogni corridore italiano: da quando siamo bambini per tutti noi che gareggiamo il sogno è quello di arrivare a correre il Giro».

Lei vive sul lago di Como la sua corsa di casa è il Giro di Lombardia, quante volte è sceso in strada per vedere il passaggio della corsa?
«Tantissime volte ed è in assoluto la corsa che ho visto di più. Ho visto sia gli arrivi a Como che a Bergamo. Andavo sempre a vedere il passaggio dal muro di Sormano, oppure sul Civiglio. Quando c’è stato l’arrivo a Lecco, sono sempre andato a vedere la corsa all’arrivo. L’edizione che mi è piaciuta di più è stata quella in cui a vincere fu Rodriguez nel 2012. Nel finale pioveva tantissimo e nonostante tutta l’acqua che veniva giù, lui è riuscito a vincere in un modo straordinario».

Qual è un suo ricordo speciale legato al ciclismo?
«Ho tanti di ricordi legati al ciclismo. Ricordo la cronometro del Giro quando a vincere fu Dumoulin. Nel 2008 c’era una tappa con arrivo a Tirano e io la andai a vedere sul Mortirolo, ricordo la salita fatta in bici con papà: sì, forse questo è uno dei ricordi più belli».

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