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IL GIRO DELLA MEMORIA. VINCENZO E LA DEDICA FINALE A MICHELE, GIRO 2010
di Marco Pastonesi | 02/06/2020 | 07:56

Dal 9 al 31 maggio si sarebbe dovuto disputare il Giro d’Italia 2020. Tuttobiciweb lo corre comunque, giorno per giorno, con la forza della memoria. Oggi la dedica finale a Michele Scarponi: Vincenzo Nibali ci racconta la tappa dell’Aprica al Giro d’Italia 2010.

“Terzultima tappa, la Brescia-Aprica, 195 chilometri e il Mortirolo. Arroyo in maglia rosa, Basso a 2’27”, io sesto a 4’53”, ma la gerarchia è definita, i patti sono chiari: nessun dualismo, è Basso il capitano. Giornata dura, cielo grigio. L’attacco di Garzelli sul valico di Santa Cristina dal versante di Trivigno, il nostro treno Liquigas da Mazzo, la mezza crisi di Arroyo, il terzetto formato da me, Basso e Scarponi. Qui, come direbbe Magrini, lo sbrindellio. E qui la corsa diventa una cronoscalata, una cronodiscesa e una cronofinale. Pedalata dopo pedalata, metro su metro, secondo per secondo, anche quelli degli abbuoni nella volata”.

Venerdì 28 maggio 2010, Vincenzo Nibali, anni 25, dorsale 132: “Il Mortirolo, 10 chilometri verticali e storici, nebbia pioggia folla, quella striscia di asfalto che in certi punti si avvolge su se stessa come le spire di un serpente, ipnotizzante, soffocante. Il Mortirolo affrontato – parlo di me - per la prima volta due anni prima, a Tirano la vittoria di Sella su Simoni e Purito Rodriguez, io indietro. Stavolta un’altra storia. Basso, con un ritmo micidiale. Scarponi, con una resistenza imprevista. E io, con decisione e ostinazione, con gambe e testa, con sofferenza e volontà. E pensare che a quel Giro non sarei neppure dovuto andare, poi indossai la maglia rosa e conquistai la tappa del Monte Grappa. In cima al Mortirolo, un minuto scarso di vantaggio su Vinokourov, due scarsi su Arroyo. In discesa – la strada bagnata e viscida - incito Basso a mollare i suoi freni e a fidarsi delle mie traiettorie, ma lui preferisce prendere le dovute precauzioni, così vado davanti e lo aspetto, mi volto, lo controllo, mi giro, lo guido. Poi la statale in discesa verso Edolo, poi la statale in salita verso Aprica. Una lotta contro il tempo. Finché Basso s’impadronisce della maglia rosa, io non mi risparmio per lui ma anche per me, voglio il terzo posto e magari il secondo”.

La volata è più ragione che sentimento: “Scarponi è il più fresco, ma parlare di freschezza è un paradosso, diciamo che Scarponi è il meno spremuto, gli ultimi chilometri salva le gambe, salta i cambi, tira il fiato. Anche lui ha dato tanto, il massimo. L’ultima trenata è mia, Basso mi supera, Scarponi sprinta. Gli abbuoni sono importanti: 20 al primo, 12 al secondo, 8 al terzo. L’operazione ha successo, la missione è compiuta: Basso guadagna 3’06” più 12”, in classifica anticipa Arroyo di 55”, io terzo a 2’30”, Scarponi quarto a 2’49”. Ma non è finita. Il giorno dopo c’è un altro tappone alpino, la Bormio-Tonale, 178 chilometri con la Forcola di Livigno, il Passo di Eira, il Foscagno e il Gavia prima del Tonale”.

Nibali e Scarponi si conoscevano da anni: “Ma era una conoscenza da rivali, da avversari. Superficiale e agonistica. Ciao, ciao. Buongiorno, buongiorno. Si rideva, si scherzava. Con lui era impossibile non buttarla sulla battuta. Gli era naturale, gli veniva spontaneo. In quel Giro ‘Scarpa’ era sottovalutato. Non aveva uno squadrone all’altezza del nostro, lo pagò soprattutto nella cronosquadre di Pinerolo, si rifece sotto proprio nella tappa dell’Aprica. E il giorno dopo, vittoria di Tschopp, rispondendo a un allungo finale di Evans, mi arrivò a un secondo nella generale. Nella crono conclusiva, a Verona, 15 chilometri soltanto, lo riportai a distanza di sicurezza. Le nostre vite si sono incrociate e sovrapposte dal 2014 al 2016 nell’Astana. Allora ci siamo conosciuti profondamente e ci siamo, non solo stimati e rispettati, ma voluti bene. Tutto quel tempo insieme ad allenarci e correre, mangiare e dormire, viaggiare e chiacchierare, ancora gioire e soffrire, sempre ridere e scherzare, stessa squadra e stessa stanza, stesse strade e stesse vite. Michele era particolare, speciale, generoso, generoso a parole e a pedalate. Aveva il dono della leggerezza. Fino a tre anni fa. Quella tragica mattina, quell’assurdo incidente. E questa inguaribile assenza”.

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