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IL GIRO DELLA MEMORIA. MARIO ANNI E LA TERZA TAPPA QUASI IN ROSA A MONTECATINI, 1969
di Marco Pastonesi | 11/05/2020 | 07:55

Dal 9 al 31 maggio si sarebbe dovuto disputare il Giro d’Italia 2020. Tuttobiciweb lo corre comunque, giorno per giorno, con la forza della memoria. Oggi la terza tappa: Mario Anni ci racconta quella del 1969.

“Volavo. Quell’anno andavo veramente forte. Saranno state le gambe, sarà stata la testa, sarà stato anche il cuore. Avevo conosciuto una ragazza, sarebbe diventata mia moglie. Perché si pedala con tutto quello che si ha, compresa la fame, compresi i sogni. Figlio di un carrettiere, quinto di cinque fratelli, avevo 25 anni, era la mia quarta stagione da professionista, facevo il gregario e sapevo che quella era la mia vita, il mio destino, la mia forza. E in più il Giro d’Italia del 1969 partiva da casa mia: Brescia”.

Mario Anni correva per la Molteni: “Dancelli per la classifica, Basso per le volate, Polidori il jolly, Boifava l’astro emergente, Maggioni che faceva la sua corsa, gli altri – io, Tosello, Pecchielan, Santambrogio e il lussemburghese Schutz – a giocare di squadra. In ammiraglia Albani, che la sapeva lunga. Cominciammo alla grande. La prima tappa da Garda a Brescia: io ci tenevo a fare bella figura, ma quando scattò Polidori, anche se non sentivo la catena, non potevo corrergli dietro. Morale: tappa e maglia per Polidori. E la sera tutti felici e contenti”.

Eppure: “La seconda tappa da Brescia a Mirandola. Attacchi, contrattacchi, bagarre. Gruppo sgranato, velocità alta. Io davanti con Boifava e Polidori. Ci si guardava. Finché Boifava mi fece l’occhiolino e partì, prese 50 metri, poi 100, 200, 300, e siccome in pianura andava come un treno, teneva il vantaggio. Ma Polidori non stava più nella pelle e scattò. Gli corsi dietro: ‘Ma che fai?’. Lui scattò ancora. Io gli corsi ancora dietro. Lui mi tirò un pugno sulla spalla. Nacque una scaramuccia. Intanto Boifava andò al traguardo: tappa e maglia. E io terzo. Apparentemente un trionfo, ma la sera, a tavola, sguardi torvi e musi lunghi, Albani che cercava di stemperare gli animi”.

Eppure: “La terza tappa da Mirandola a Montecatini Terme, in mezzo prima l’Abetone, poi il Prunetta. Sull’Abetone riuscii a rimanere davanti con i migliori. Ricordo Adorni che si stupì nel vedere me, gregario, unico fra i capitani. Si vede che non ero calcolato. Invece Boifava era leggermente staccato. Poi in discesa forai, l’ammiraglia non c’era, sprecai tempo, persi il gruppetto dei migliori e fui superato da quello degli inseguitori con Boifava. Cambiai la ruota, mi lanciai, ripresi Boifava, avrei voluto riprendere anche gli altri, ma non potevo. Finché scattò Schiavon e così ebbi una scusa per rincorrerlo. Tira anche tu, mi incoraggiò. Non posso, gli risposi, ma se prendiamo un po’ di vantaggio... Lo prendemmo. Ma quando cominciai a tirare, su un falsopiano, staccai il povero Schiavon, ripresi i migliori, arrivammo alla volata nell’ippodromo, tappa a Merckx e maglia a Polidori davanti a Merckx e a me. La sera, a tavola, contenti, ma a metà”.

Mario Anni rimase terzo in classifica fino a Napoli, all’ottava tappa, e diventò addirittura secondo a Potenza, nella nona: “Davanti una fuga, dietro i migliori. Polidori in crisi, Merckx rosa virtuale, io a 3” da lui. Merckx non voleva sfinire la sua squadra. Scattai ai piedi della salita finale, presi una cinquantina di metri, sarebbero stati sufficienti. Ma Gimondi attaccò e costrinse Merckx a rincorrere lui, e anche me. E addio maglia rosa”.

Il ciclismo gli ha insegnato a sorridere: “Sulla salita, infinita, di Campitello Matese scivolai in fondo. Taccone mi chiese che cosa avessi. Gli risposi che non avevo digerito certe cose. Lui mi allungò un’Alka Seltezer. Ma io pensavo alla maglia rosa sfiorata e a certe incomprensioni in squadra”. Il ciclismo gli ha insegnato a vivere: “Quell’anno corsi anche il Tour de France. Ma non volavo più. Nel tappone pirenaico – Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque - stanco morto, assetato, sporco di catrame, nell’ultimo gruppetto, volevo ritirarmi. Ma c’era una decina di ragazzi disabili in carrozzina che ci incitava. Mi vergognai della mia debolezza. Strinsi i denti, arrivai al traguardo, poi a Parigi. Per loro”.

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