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MERCKX: «FU LA SCONFITTA PIÙ AMARA, MA QUELLA MAGLIA A FELICE GLIELA AVREI DATA IO»
di Pier Augusto Stagi | 02/09/2023 | 09:37

«Quella maglia iridata gliela avrei data io con le mie mani, perché nessuno più di Felice la meritava. Glielo dice uno che se non gli avessero corso
contro, quel giorno avrebbe vinto». Quel giorno era il 2 settembre 1973, e ce lo dice uno che di nome fa Eddy Merckx, il più vincente corridore
della storia, Sua Immensità, il più grande o il più forte a seconda dei gusti, sicuramente il più prolifico (525, di cui 445 tra i professionisti) corridore della storia: se fosse stato un bomber sarebbe stato Pelé, un centometrista Usain Bolt, un pilota di F1 Michael Schumacher, in moto Giacomo Agostini, nuotatore Michael Phelps. Insomma, è stato ed è uno dei più grandi sportivi della storia. E da leggenda dello sport Eddy Merckx ci onora del suo tempo per ricordare una delle nostre più grandi leggende sportive: Felice Gimondi.

Mancato a Taormina (Giardini Naxos, ndr) il 16 agosto del 2019, ricorrono proprio oggi i cinquant’anni da quella volata pazzesca che il bergamasco di Sedrina seppe fare sul circuito del Montjuïc a Barcellona, dove il nostro “Felix dei Mondi” o “Nuvola Rossa” come ebbe modo di ribattezzarlo
Giuanbrerafucarlo, superò nell’ordine Maertens, Ocaña e appunto Merckx, laureandosi campio campione del mondo.

Davvero quella maglia con i colori dell’arcobaleno gliela avrebbe data volentieri lei con le sue mani?
«Assolutamente si. Felice è stato un corridore eccezionale, di assoluto valore e di grandi valori, che ha reso grande il nostro sport e ha reso ancora
più belle le mie vittorie. Tenace e leale, quella maglia fu davvero un premio alla carriera. È chiaro che non fui contento di aver perso, ma ero imbufalito per come corse Freddy Maertens, non certo Felice».

Crede ancora che il giovane Maertens le giocò un brutto scherzo...
«Non solo lo credo, ma ne sono certo. Corse per farmi perdere, fece di tutto per inseguirmi ad ogni mia progressione. Fece il gioco di Ocaña e Gimondi e la cosa non mi è ancora andata giù. In quel 1973 vinsi qualcosa come trenta corse, con Gand-Wevelgem, Roubaix, Liegi e Amstel, poi
Vuelta e Giro: insomma, volavo. Anche quel giorno sul circuito di Barcellona avevo una grandissima gamba,
ma Maertens corse da sciagurato».

Quindi si consolò nel vedere Felice sul palco con la maglia iridata sulle spalle.
«Come le ho detto, quella maglia gliela avrei data personalmente. A parte il sottoscritto, in quel preciso momento, nessuno come Felice la meritava».

È la sconfitta che più le brucia?
«Sicuramente sì».

Cosa di quel giorno le è rimasto più impresso?
«In verità mi è rimasta nella mente la notte insonne dopo la disfatta iridata. Mi alzai in piena notte perché faticavo a prendere sonno per il nervoso, e trovai alzati a ridere e scherzare alcuni componenti della nazionale belga, con Maertens che sosteneva d’aver venduto il mondiale a Felice. Una sciocchezza bella e buona, una carognata fatta a me in corsa e a Felice successivamente per non ammettere di essere stato meno veloce di
lui. Quel giorno la sua presunzione e la sua stupidità si videro ad occhio nudo in gara e poi con quelle parole alla sera. Un vero scellerato. Non lo
perdonerò mai!».

Le manca Felice?
«Mi manca sì, perché Felice era un caro amico, un vero galantuomo, un uomo leale e con una parola sola. Mi manca come gli affetti più cari che
ho perso, come quell’altro grande uomo che di nome fa Ugo De Rosa, costruttore di rango assoluto».

Le piace il ciclismo di oggi?
«Moltissimo, erano anni che non si vedevano corse così belle».

Lei ha sempre detto che Pogacar è quello che più le assomiglia, ma per il secondo anno consecutivo Vingegaard ha vinto il Tour.
«Tadej è più completo, ma il danese ha meritato, nulla da dire. Mi ha davvero sorpreso a cronometro».

Il suo giudizio su Pogacar è cambiato?
«Assolutamente no, per me resta un prodigio, l’unico corridore che sulla carta può vincere tutto quello che c’è da vincere, perché ha tutti i
numeri e i mezzi per farlo. Un Tadej ferito (è arrivato al Tour dopo una delicata operazione per ridurre la frattura del polso, ndr), ha corso in
ogni caso all’attacco, non si è mai risparmiato. Ha reso il Tour avvincente. Non dimentichiamo quello che ha vinto in primavera Tadej, prima
della caduta alla Liegi: Parigi-Nizza, Fiandre, Freccia e Amstel».

Vingegaard sta correndo la Vuelta.
«Mi ha sorpreso, in positivo. Chi corre solo il Tour non mi ha mai incatenato il cuore. In ogni caso per il danese questo potrebbe essere un ottimo
test in vista di un’accoppiata Giro-Tour. Mi auguro la faccia. Magari con Pogacar...».

Magari anche con Remco Evenepoel?
«È un campione, ma secondo me il Giro e il Tour sono troppo selettivi e duri per lui».


Il Tour, il prossimo anno, partirà dall’Italia (Firenze, ndr), però noi italiani non abbiamo un corridore che possa correrlo almeno da
protagonista.
«Sono cicli e bisogna avere anche un po’ di pazienza. Però è altrettanto vero che qualcosa non funziona: investite poco tra scuola e impianti.
Slovenia e Danimarca hanno una concezione diametralmente opposta e si vede».

Se le dico Italia cosa pensa?
«Che nel vostro Paese sono diventato Merckx. Con la maglia della Molteni sono diventato grande. E poi lì da voi ho tanti amici fraterni, come Italo
Zilioli e Federico Zecchetto (titolare di marchi come Alé, Cipollini e Dmt, ndr), ma se penso a Gimondi e Adorni, mi viene davvero da piangere. Mi
mancano. Sono state per me belle persone, che mi hanno reso un corridore e un uomo migliore».

2 settembre del 1973: il punto più alto per Felice Gimondi...
«Ogni tanto lo sport sa essere più che giusto e rimette a posto tutto. Quel giorno a Felice mancava solo un piccolo pezzo di un puzzle che
andò al suo posto. Era l’unico pezzo mancante e aveva i colori dell’arcobaleno».

da Il Giornale del 2 settembre 2023

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