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DAGNONI. «UN ANNO INTENSO, TANTE IDEE DA CONCRETIZZARE»
di Pier Augusto Stagi | 21/02/2022 | 08:10

Oggi soffia sulla sua prima candelina, ma non sbuffa e soprattutto non bluffa. È soddisfatto Cor­diano Dagnoni che oggi, 21 febbraio, taglia il traguardo dei primi dodici mesi a capo del ciclismo italiano. Un anno fa, il colpo di reni. Una incredibile rimonta che l’ha condotto sul soglio pontificio del ciclismo nazionale tutto. Un traguardo ambizioso, che lo vedeva come il terzo incomodo, alle spalle di Da­nie­la Isetti e Silvio Martinello, e ora lo vede comodo e adagiato sulla poltrona presidenziale, dopo aver trotterellato in lungo e in largo per il mondo, non sottraendosi a riunioni e celebrazioni per le medaglie conquistate. Oggi, che lo incontriamo nel suo quartier generale, nella zona Est di Milano, si è ritagliato un po’ di tempo per noi, ma an­che per sé stesso: una chiacchierata in tutto relax per riordinare le idee e fare il punto di quello che è stato fatto e quello che intende fare, tra soddisfazioni e errori, senza omissioni. Si co­mincia.

Presidente, dopo un anno di presidenza, di cosa va più fiero?
«Della squadra che sono riuscito a formare. Delle persone e delle loro professionalità che sono riuscito a garantire alla nostra Federazione. Da Mar­cel­lo Tolu a Roberto Amadio, da Lu­ciano Fusar Poli a Mas­simo Ghirotto e Ro­berto Cor­setti. Così come Daniele Pon­toni, che ha dato nuova linfa al settore del fuoristrada (coordinato da Gian­carlo Masini) al quale tengo molto e che rappresenta oltre il 50% dei tesserati. Ve­de­re Celestino e Pon­toni che collaborano in perfetta sinergia tra ciclocross e ruote grasse, per me è motivo di orgoglio. Con gli stessi uomini si può fare di più. Passo per quello che ha stravolto tutto, ma non è assolutamente vero: andate a vedere i nomi dei tecnici, sono in gran parte gli stessi, ma con le stesse persone il prodotto può cambiare».

Mancano Davide Cassani, Mario Valen­tini e Roberto Vernassa…
«Ma lo zoccolo duro dei tecnici è lì da vedere. Dino Salvoldi, per esempio, l’abbiamo spostato dalle donne ai ra­gazzi juniores, perché questa è una ca­tegoria delicata e al tempo stesso per noi strategica. Dino è la persona giusta al posto giusto. Preparato, scrupoloso e metodico come pochi e le squadre sono contente di avere un figura di ri­ferimento così, e io sono felice che lui si sia calato in questa nuova avventura con passione e abnegazione: da vero professionista».

A proposito di giovani: cosa ne pensa dei ragazzini juniores che fanno il salto nella massima serie senza passare da team under 23 o Continental?
«L’argomento è chiaramente delicato e per questo abbiamo chiesto un parere all’Uci, che ci ha confermato che anche a loro parere sarebbe meglio, per non dire consigliabile, che i ragazzi crescessero poco per volta, passando per team di formazione. Detto questo, non possiamo nemmeno andare contro la storia. Ho letto sul vostro tuttobiciweb la proposta avanzata da Fabio Perego: se un ragazzino juniores vuol passare su­bito professionista e se dovesse andargli male, è giusto che non torni più a correre con gli under 23. Tuttalpiù va a correre tra gli amatori. Con la struttura tecnica e il Consiglio, ci stiamo ragionando. Potremmo trovare una via di compromesso: se fai almeno un anno tra gli under e passi professionista, puoi tornare anche indietro. Se passi professionista direttamente da juniores questa possibilità non c’è. Potrebbe essere un deterrente».

Quali sono oggi i suoi rapporti con l’ex presidente della Federazione, nonché vice-presidente onorario dell’Uci, Renato Di Rocco?
«Inesistenti. Non ho problemi a dirle che non ho affatto digerito il suo atteggiamento nella fase finale della campagna elettorale, dove mi ha messo in cattiva luce in favore di Daniela Isetti».

E pensare che all’inizio ero tra quelli che credevano che Renato Di Rocco sarebbe stato in ogni caso il “padre nobile” della sua presidenza…
«E pensava bene, era così. Io ero assolutamente convinto di averne bisogno, di non po­terne fare a meno. Poi quando mi sono trovato a lottare solo contro tutti e, quindi, an­che contro di lui, sono andato per la mia stra­da. Ho avuto la fortuna di essere stato accolto a braccia aperte da tutti, a cominciare dal presidente del Coni Giovanni Malagò, oltre che da tantissimi presidenti federali con i quali quotidianamente mi confronto».

Con chi, tra i suoi colleghi, ha un rapporto speciale?
«Su tutti Gianni Petrucci della Fe­der­Basket e Franco Chimenti del golf. Ma tra quelli con i quali ho un rapporto molto buono e stretto ci sono anche Marco Di Paola degli Sport Equestri, Giovanni Coppioli del Motociclismo, Luciano Bonfiglio della Canoa, Giu­seppe Abbagnale del Ca­not­­taggio e ultimo ma non ultimo Mario Scarzella della FederArco, per il quale ho un debito di riconoscenza perché mi ha lasciato il nostro Segretario Generale, Marcello Tolu».

Come è arrivato a Marcello Tolu?
«Grazie a Mario Valentini, che me ne parlò e me lo presentò prima delle elezioni. Quando diventerai presidente, mi disse Mario, lui è la figura giusta per te. Mario era più convinto del sottoscritto dell’esito delle elezioni. Mar­cel­lo era entusiasta di poter venire a lavorare per la Ciclistica, anche perché ap­passionato e marito di Monia Bacc­a­ille, oro dello scrach agli europei di Ate­ne nel 2006. Ricordo che domenica 21 febbraio fui eletto, il giorno dopo ero ai funerali del povero Mauro Va­lentini, figlio di Mario e martedì 23 ero già dal presidente Giovanni Malagò a chiedergli Tolu. Ed è grazie agli ottimi rapporti del nuovo Segretario Generale ho potuto instaurare ottime relazioni con i vertici di Sport e Salute, il Pre­si­den­te Luca Pancalli del CIP e Val­en­ti­na Vezzali, Sottosegretario allo sport».

Mario Valentini: importantissimo per la sua elezione, poi però è stato privato della “sua” nazionale paraciclistica.
«Gli devo assolutamente tutto e gli sa­rò sempre riconoscente, per me è co­me un secondo padre, ma purtroppo nei compiti di un presidente ci sono anche decisioni dolorose da prendere. Deci­sio­ni dettate dall’età di Mario (80 anni, ndr) e da una serie di valutazioni che sono state fatte da tutto il Consiglio. È chiaro che Mario resta per me una figura di riferimento e co­me tale io continuerò a considerarla. Se rientrerà nel giro della Federazione? Mai dire mai».

Come sono oggi i rapporti con lui?
«Buonissimi. Mario è persona intelligente e ha capito che c’era bisogno di dare una svolta ad un settore che ne­ces­sitava qualcosa di nuovo».

Come sono i suoi rapporti con Daniela Isetti?
«Dall’assemblea in poi non c’è stato più nessun rapporto».

È comunque una delegata UCI, forse sa­rebbe il caso di invitarla almeno ai Con­sigli Federali: non crede?
«Mi aspettavo che lei facesse il primo passo, poi l’ho fatto io lo scorso mese di dicembre invitandola al Giro d’O­no­re, ma lei ha declinato l’invito. Cosa posso dirle: ho ottimi rapporti con il pre­sidente UCI, Lappartient, il Se­gre­tario Generale Amina Lanaya, il numero uno UEC Enrico Della Casa e con la delegata Agata Lang, se poi un giorno torneremo a parlarci anche con la Iset­ti, ben venga. Però se vuole, le racconto un aneddoto che non ho mai raccontato a nessuno…».

Sono tutto orecchi.
«A ridosso delle elezioni le mando un messaggino WhatsApp: se vinco io, per te un ruolo c’è sempre, le scrivo. Gra­zie, ma se perdo non voglio più avere nulla a che fare con il ciclismo. In ogni caso, la stessa proposta vale per te, mi dice di rimando».

E lei cosa le ha risposto?
«Grazie, ma io accetto!».

Le faccio un nome e un cognome: Silvio Martinello.
«Mai sentito. Nel senso che lo conosco benissimo ma non l’ho più sentito. L’ul­tima volta che ci siamo parlati è sta­to nel settembre 2020. Mi chiese se ero disponibile a fargli da vice-presidente. Gli dissi che dovevo ancora pensarci, e poi decisi di fare la mia corsa».

Eppure uno come Silvio Martinello po­trebbe essere utile alla causa del ciclismo…
«Mi piacerebbe un giorno fargli la proposta: visto che parli tanto di ciclismo nelle scuole, perché invece di continuare a dirlo non provi a fare qualcosa? Sono in tanti ad essere bravi in teoria, poi però c’è la pratica. Provi a fare co­me Fabio Perego: è fuori dai giochi del­la Federazione, ma continua ad alimentare la sua passione per il ciclismo, organizzando eventi e gare. Le faccio io una domanda: Martinello a parte criticare, cosa fa?».

Se permette oggi le domande le faccio io: lei cosa pensa del ciclismo nelle scuole?
«Io non porterei assolutamente il ciclismo nelle scuole, non è né semplice né tantomeno utile: troppi i rischi, troppo complesso, troppi problemi per i presidi, i docenti e i genitori. Piuttosto porterei il ciclismo negli oratori e magari farei come fa in Piemonte la Feder­Golf, che porta le scuole nei vari centri di avviamento. Ecco, queste sono delle possibilità concrete e ci stiamo lavorando con la supervisione del Consigliere più giovane, Fabrizio Cazzola».

Facciamo un passo indietro e torniamo ai giorni di Tokyo e a quella foto celebrativa nella quale lei appare sdraiato davanti al quartetto d’oro.
«Quella foto ha un significato simbolico importante. Io sono uno di loro. Un complimento bellissimo me l’ha fatto Fred Morini, uno dei nostri massaggiatori azzurri. Mi ha scritto: presidente, lei non si rende conto del valore ag­giunto che sta dando a tutti noi. E anche il presidente Giovanni Malagò quando vide quella foto mi scrisse: è la foto più bella che tu potessi fare».

Restiamo a Tokyo: non trova che la questione Davide Cassani poteva essere gestita un po’ meglio?
«Le direi di no, era tutto previsto dalle norme di ingaggio olimpiche in materia di regole anti-Covid. Prima di partire per il Giappone Davide sapeva perfettamente che sarebbe dovuto rientrare in Italia dopo le prove su strada e gli era stato comunicato da Roberto Ama­dio: i biglietti aerei erano già stati fatti. A me spiace per Davide, per quello che è venuto fuori e per il modo, ma le cose tra di noi erano chiare: dall’inizio alla fine restavano solo il presidente della Federazione e il segretario generale che generalmente è il team leader. Visto che il Segretario Generale si era insediato, il team leader l’ha fatto Ro­berto Amadio: era tutto chiaro fin dalla partenza. Poi sono state fatte un sacco di speculazioni e la cosa non mi è piaciuta neanche un po’».

Forse andava comunicato prima di partire, andava reso noto alla stampa.
«Con il senno di poi, ha ragione. Visto che Davide Cassani non era una persona qualsiasi e da anni rappresentava il ciclismo, forse andava esplicitato subito per evitare fraintendimenti».

Sarebbe stato anche una forma di rispetto per Cassani.
«Concordo».

A proposito di fraintendimenti, cosa pensa dell’uscita del Direttore Generale Amina Lanaya, che per combattere il doping ha invocato via stampa l’utilizzo degli infiltrati nelle squadre di World Tour?
«Non mi è sembrata una bella uscita. Sarò un illuso, ma a me quello di oggi sembra un ciclismo molto credibile. In ogni caso se il nostro massimo organismo mondiale ha altri elementi e pensa che per combattere i bari è necessario ricorrere all’utilizzo degli 007, li metta in azione ma non lo dica. Soprattutto non lo faccia attraverso un articolo di giornale».

Lei da sempre ha un sogno: riportare la Sei Giorni a Milano.
«È davvero un sogno, che spero di realizzare. O a Milano al Palazzo delle Scintille o Montichiari. È chiaro che a Milano costerebbe molto di più, perché ci sarebbe da affittare una pista e a Montichiari, invece, sarebbe più semplice, però ci sto pensando e questo è uno dei grandi sogni che vorrei poter realizzare».

Cosa la rende orgoglioso?
«La riorganizzazione interna dei dipendenti della Federazione, che prevede un’ottimizzazione delle competenze, con ruoli adeguati e giuste mansioni e la valorizzazione di alcuni collaboratori capaci. Questo ci porterà nel breve ad avere una Federazione più efficiente. Poi tra le cose che mi rendono felice è quella che il ciclismo è rientrato in Giunta Coni con Norma Gimondi. A prescindere dalla provenienza - in campagna elettorale era in quota a Silvio Martinello - sono felice di avere Norma con noi: ha passione e competenza. È un valore aggiunto. Ma posso dirle che sono un presidente fortunato: ho un gran bel Consiglio, fatto di belle persone, competenti e appassionate. Mio pa­pà ha sempre detto: delega tutto tranne il controllo. Ognuno dei miei consiglieri ha la propria autonomia. Ha le proprie deleghe, lavora e riferisce, con grande partecipazione e coinvolgimento. Sono inoltre orgoglioso d’aver ottenuto il ruolo di portabandiera per Elia Viviani nella cerimonia di apertura alle Olimpiadi di Tokyo: la prima volta nel­la storia per il ciclismo».

Mi sembra che qualcosa si stia muovendo anche al Sud…
«Stiamo dando grande fiducia al Sud - il nostro vice-presidente vicario Car­mi­ne Acquasanta è di Matera - come è giusto che sia, anche perché crediamo che ci sia un potenziale inespresso. Ul­timamente abbiamo nominato Tom­ma­so De Palma, sindaco di Giovinazzo, responsabile della Bike-Economy del Centro Sud, perché la promozione del ciclismo sul territorio è alla base di tutto: promuove la pratica e sviluppa l’economia che ruota attorno al grande mondo delle due ruote. De Palma sta lavorando a stretto contatto con quello che è considerato il padre nobile della Bike Economy, il presidente dell’Os­ser­vatorio Gianluca Santilli».

Un grande sforzo lo state facendo anche con la comunicazione…
«Le stiamo dando l’importanza che merita, con i social siamo molto più presenti e trasparenti. Come in ogni azienda, oltre ad avere un buon prodotto da immettere sul mercato, bisogna anche proporlo nel modo più giusto e adeguato».

State anche lavorando alla modifica dello Statuto.
«Fin da subito abbiano costituito una Commissione per la revisione dello Statuto coinvolgendo un gruppo di “saggi” come Michele Gamba, Lino Se­chi in rappresentanza degli enti Ter­ritoriali e l’avvocato Pietro Giova­nar­di per la parte legislativa. Fra un anno, gennaio/febbraio 2023, spero di poter indire un’Assemblea Straor­dina­ria di metà mandato per varare la no­stra Car­ta Costituzionale, che ormai è piuttosto vecchiotta».

Da ex Presidente di Regione ha anche la­vorato per una maggior autonomia dei va­ri Comitati territoriali.
«Ne sentivo l’esigenza, come ha detto lei da ex presidente di un Comitato im­portante come quello lombardo ho voluto sburocratizzare i Comitati. Pri­ma per una spesa di 50 euro erano ne­cessari tre preventivi e per uno di oltre 1.000 euro bisognava fare il bando. Adesso hanno un margine di azione molto più ampio».

C’è anche una maglia azzurra da valorizzare: il vostro motorhome ha fatto su­bito discutere.
«Purché se ne parli… Battute a parte, vale il discorso già fatto: se si vuole so­lo criticare, si critica anche per il fatto che abbiamo deciso di dare alla nostra nazionale una casa viaggiante, grazie ad uno sponsor come MP Filtri. In ogni caso in materia di maglia azzurra le dico anche che nel frattempo abbiamo anche fatto valutare la maglia az­zurra ad una società specializzata: l’azzurro ha grandi potenzialità, se lavoriamo bene, possiamo anche quadruplicare il valore di oggi. La maglia azzurra non è solo corsa, manifestazioni, ma anche centri di avviamento della pista e scuole di ciclismo. Abbiamo tanta carne al fuoco e presto cambieremo anche la nostra veste grafica. Il logo, per farle un esempio, è del 1984: ci stiamo lavorando».

Di acqua ne è passata sotto i ponti, dal record dell’ora di Francesco Moser, ad un ciclismo femminile che sta vivendo una vera e propria esplosione.
«E non è nemmeno un caso che in Consiglio ci sia una donna, come Se­rena Danesi, che dell’altra parte del cie­lo si sta occupando con grande competenza. Il ciclismo femminile sta compiendo passi in avanti enormi, l’interesse da parte degli sponsor è crescente, anche qui c’è da lavorare con attenzione. Noi abbiamo la fortuna di avere un Giro d’Italia che è in buone mani, in quelle di Roberto Ruini. In più abbiamo tre campionesse del mondo: Elisa Balsamo iridata della corsa in linea, ol­tre a Letizia Paternoster e Martina Fidanza che hanno vinto il titolo su pista. Occhio poi a Gaia Tormena, è un ta­lento vero: dove la metti va. Fuori­clas­se assoluta».

Cosa pensa di fare della Lega ciclismo?
«Me la tengo stretta. Io ci credo e ne ho parlato con grande franchezza con il presidente Enzo Ghigo, il vice presidente Rug­ge­ro Cazzaniga e il segretario Stefano Pic­colo. A loro ho chiesto di presentarmi un programma e propormi una nuo­va squadra. Un’idea per il presidente? Io ce l’ho ben chiara».

Mi faccia almeno un identikit…
«Le posso solo dire che in campagna elettorale era dalla parte di Silvio Martinello».

Come sono i sui rapporti con l’Uci?
«Inizialmente è stato difficile, anche perché il mio predecessore non mi ha certo facilitato il compito, poi ci siamo conosciuti e, a dimostrazione di questa nuova armonia ritrovata, sono stato nominato nel Consiglio Ciclismo Pro­fessionistico».

C’è anche il ciclismo amatoriale.
«Del quale se ne sta occupando in ma­niera egregia Gian Antonio Crisa­fulli. Lui conosce benissimo la materia e i rapporti con i vari Enti (Acsi, Csi, Uisp, CSAin e via elencando) è ottimo. È in corso anche una revisione del co­dice etico che impediva agli atleti positivi di poter correre con gli amatori. Pa­radossalmente, dopo due anni di squalifica, un corridore poteva tornare a correre tra i professionisti, ma non tra gli amatori. Bene, questa norma sarà rivista».

Lei è solito dire: sono un imprenditore e vo­glio gestire la Federciclismo come un’azienda. Ma non è sempre così. Non è semplicissimo…
«È così per il coinvolgimento del mio consiglio di amministrazione, che è il Consiglio Federale, che è e resta supremo. È altrettanto vero quello che dice lei: un imprenditore gestisce la propria azienda, qui in maniera collegiale am­ministriamo ciò che non è nostro».

Anche il concetto di nazionale come squadra di World Tour forse è un po’ forzato: voi non siete i proprietari dei corridori.
«La mia era ed è stata una semplificazione, un modo per far capire che la struttura, l’idea fondante delle Nazio­nali, voleva essere come quella di un team di massima categoria e pensiamo di esserci riusciti mettendo in cima a tutto una figura riconosciuta e riconoscibile come Roberto Amadio. Chiaro che per i corridori dobbiamo costantemente mantenere un dialogo costruttivo e propositivo con i vari team, che hanno alle loro dipendenze gli atleti e ci vengono di volta in volta prestati».

È vero che sta pensando anche ad una Coverciano del ciclismo?
«È un progetto in fase di avanzamento, con al centro di tutto il comune di Mon­tichiari, guidato dal sindaco Mar­co Togni che è convintissimo di questa idea. Il tutto in concerto con Regione Lombardia, Sport e Salute e il sottosegretario Valentina Vezzali. Questa area potrebbe diventare Centro Federale di preparazione olimpica, per tutte le di­scipline. Una Academy con la foresteria, una struttura che ci farebbe fare un im­portante salto di qualità. La volontà da parte di tutte le componenti è forte. Così come siamo fiduciosi che si pos­sa presto sbrogliare la matassa di Spre­sia­no e dare il via alla ripresa dei lavori. In questo caso siamo in attesa del via libera dall’ufficio tecnico di Sport & Salute che sta analizzando il vecchio progetto per renderlo compatibile con i nuovi costi».

Un anno intenso, ma sa che c’è ancora tanto da lavorare…
«Lo so e lo sappiamo perfettamente e, francamente, il sottoscritto davanti al lavoro non si è mai spaventato. Lo sa perché?».

Dica.
«È la mia passione. Mi piace maledettamente fare quello che faccio. In questi primi mesi, addolciti e glorificati da medaglie olimpiche, europee e mondiali, abbiamo ridefinito i rapporti istituzionali con CONI, CIP, Sport e Salute, Sottosegretariato allo Sport e Dipar­ti­men­to allo Sport, ricollocando la Fede­razione Ciclistica e tutto lo sport del ciclismo al centro del sistema sportivo italiano come ente in grado di promuovere stili di vita sani, con valori culturali e sociali. Montichiari e Spresiano van­no nella direzione del potenziamento dell’impiantistica sportiva per l’alto livello (velodromi coperti) e per l’attività di base, attraverso il rafforzamento dei rapporti con gli enti territoriali, Regioni, Province e Comuni. E nell’ottica di far sentire la Federazione sempre più vicina ad Enti Locali e territorio è rientrata anche la scelta di convocare i Consigli Federali itineranti, toccando diverse regioni d’Italia. Nel corso dell’anno li abbiamo tenuti di vol­ta in volta oltre che a Roma e Mi­lano, a Torino, in Val di Sole e nel Sa­len­to. E sempre in questa logica rientrano anche i progetti in fase avanzata e di prossima attuazione di rilancio dell’attività dei centri territoriali della pi­sta. Altro tema che mi sta molto a cuo­re è quello della sicurezza. Su questo argomento così delicato sta lavorando il gruppo coordinato dal consigliere Gian­ni Vietri che segue da vicino la Commissione presieduta da Roberto Sgalla, che in materia è semplicemente un’autorità. Sicurezza in questo caso che fa anche rima con formazione. Con la regia di Fabio Forzini abbiamo rivisto l’impostazione del centro studi, che ora ha due anime: una scientifica e l’altra formativa.  Insomma, abbiamo fatto qualcosa, molto dobbiamo ancora fare molto. Noi abbiamo il dovere di farlo bene e comunicarlo, agli altri spetta il compito di informarsi e giudicare il no­stro operato, ma senza pregiudizi. In totale serenità, quella che ho e abbiamo per il lavoro svolto fin qui».

Presidente, che voto si dà?
«Siamo al primo quadrimestre, però la sufficienza piena mi sembra di meritarla sia io che tutti i miei più stretti collaboratori oltre al Consiglio Federale tutto».

Sa che ci sarà chi è pronto a farle una no­ta sul diario?
«Se sono note costruttive, io prendo nota. Come sempre».

da tuttoBICI di febbraio

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