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CENTO ANNI FA FIORENZO MAGNI
di Pier Augusto Stagi | 07/12/2020 | 09:20

È stato il terzo uomo e anche il terzo incomodo, ma sempre e solo da numero uno. Il più numero uno di tutti, più di quei due là che di nome facevano Fausto Coppi e Gino Bartali. Fiorenzo Magni non è mai stato subalterno a nessuno, tutt’al più alternativo a quei due giganti del pedale a tal punto da alternarsi all’uno o all’altro. È stato l’esempio vivente di chi non si è mai dato per vinto, e non ha mai dato nulla per scontato, ed è stato chiamato a lottare per guadagnarsi un posto nella storia: resistere per esistere.

A raccontarlo meglio di ogni altra parola una fotografia, diventata iconica: Magni che, in una tappa del Giro ’56 a Bologna, sale verso il Santuario di San Luca stringendo fra i denti un tubolare legato al manubrio. Ha la spalla rotta, quindi non può fare forza con le braccia, ma non ci pensa minimante al ritiro, c’è da andare avanti, cercando di alleggerire il dolore. Ci pensa Colnago che gli lega un tubolare al manubrio per fare in modo che Fiorenzo possa fare forza: anziché tirare con le braccia, si aggrappa con i denti a quella fettuccia.  Quel Giro non solo lo finì, ma lo chiuse al secondo posto, dopo averlo conquistato l’anno prima per la terza volta a 34 anni e mezzo, età che ancora oggi ne fa il vincitore più anziano di sempre.

Fiorenzo Magni, che oggi avrebbe compiuto cento anni essendo nato il 7 dicembre del 1920 a Vaiano, in provincia di Prato, ci ha lasciato otto anni fa, il 19 ottobre del 2012 a Monza. Una vita fatta di attacchi e contrattacchi, di strategie e intuizioni. Ha vinto tanto, Magni. Tre Giri d’Italia, tre campionati italiani, tre Giri delle Fiandre consecutivi che gli valsero il titolo di “Leone delle Fiandre”.

Stratega sopraffino, che lo rese uomo di successo ancor più giù di sella, quando si dedicò alla compravendita di macchine e ricoprì tutte le cariche dirigenziali nel mondo che conta delle due ruote. Ha saputo non solo leggere le situazioni, ma le ha anticipate. Sua è l’intuizione delle sponsorizzazioni nello sport, che prendono l’abbrivio proprio nel mondo delle due ruote.

È il 1953 e Magni corre per la Ganna, ma qualcosa comincia a non girare più per il verso giusto. Le “case” - così venivano chiamati in quegli anni i marchi che producevano biciclette - sono in sofferenza. L’auto sta procedendo spedita tra i desideri degli italiani. Tino, il figlio di Luigi Ganna primo vincitore della “corsa rosa”, lo mette in guardia: «Fiorenzo, qui non abbiamo più quattrini per sostenere adeguatamente la squadra, forse è il caso che cominci a guardarti in giro…».

Magni potrebbe far spallucce, anche perché per un corridore del suo calibro non ci sono problemi di sorta, essendo chiaramente uno dei ciclisti più forti a livello mondiale. Invece, come era solito fare, “il Leone” si mette in testa di trovare una soluzione alternativa, che scompaginerà le carte nel mondo dello sport e non solo. Tramite il ragionier Pagani, Magni intercetta il dottor Zimmermann, che altro non è che il signor Nivea, azienda produttrice di una miracolosa crema per la pelle che viene venduta in una bellissima scatoletta rotonda e di colore blu. Magni è uomo di visione, che sa sempre guardare oltre al proprio naso e il suo intuito imprenditoriale è evidente ai più. Anche in questa occasione non si smentisce. In un amen convince Zimmermann, anche se da convincere – cosa non semplicissima – c’è la Federazione Ciclistica Italiana che non vede assolutamente di buon occhio questa rivoluzionaria operazione, anche se poi alla fine dovrà fare buon viso a cattiva sorte. Per la prima volta una squadra viene allestita da uno sponsor che col ciclismo non ha nulla a che fare. Magni il Terzo uomo, ma anche il terzo incomodo e molto spesso scheggia impazzita, capace con il suo ardore di ingaggiare sfide al limite delle possibilità umane, ancora una volta lascia il segno.

Fiorenzo Magni era il ciclismo. Quell’idea di ciclismo che era fuga da una vita agra, sempre meglio di lavorare nei campi. Magni è stato il ciclismo e lo ha respirato da corridore, da direttore sportivo, da commissario tecnico, da presidente dei corridori e da presidente della Lega, prima di esserne ambasciatore nel mondo e punto di riferimento per intere generazioni.

Carattere fumantino e deciso, ma all’occorrenza affabile e generoso, sicuramente visionario, è  stato uomo di raccordo capace di smussare angoli, ma soprattutto costruire ponti e opportunità. Come tanti sapeva guardare, ma lui ha sempre avuto il dono di vedere laddove pochi ci riuscivano. Sapeva capire gli uomini, soprattutto sapeva sceglierseli: come Giorgio Albani, collega amico e socio, tecnico di Eddy Merckx, con il quale ha condiviso gran parte della sua fantastica parabola terrena. Come Ernesto Colnago, del quale fu uno dei primi a intuirne le doti e il genio, tanto da non farselo sfuggire e portarselo con sé giovanissimo al Giro d’Italia sull’ammiraglia della Nivea-Fuchs. I due si conoscono quasi per caso, in bicicletta. «Ho la gamba destra che mi duole da alcuni giorni e non capisco il perché…», si lamenta Magni. Con il “Leone” c’è anche l’amico di sempre, Giorgio Albani. «Signor Fiorenzo, ma non vede che le pedivelle sono posizionate male», gli fa notare l’Ernesto. Magni lo guarda stranito e in silenzio, dopo aver riempito la borraccia ad una fontanella, risale in sella e riprende a pedalare. Poche ore dopo, a casa di Colnago si palesa Isaia Steffano: è il massaggiatore di fiducia di Magni. «Scusa Ernesto, Fiorenzo vorrebbe che tu dessi un’occhiata alla sua bicicletta…». L’Ernesto non solo controlla, ma sistema e risolve. Il dolore alla gamba di Magni scompare come d’incanto e l’esperto campione non si libererà più di quel ragazzo che con la bicicletta ci sapeva fare. Lo porta con sé al Giro, come meccanico al fianco di una leggenda: Faliero Masi. «Se io devo qualcosa a qualcuno, questa persona è Fiorenzo Magni…», non smetterà mai di dire Ernesto Colnago, che nel frattempo diventa uno dei più apprezzati e riconosciuti costruttori di biciclette al mondo. Anche quella volta, Fiorenzo Magni ci vide benissimo.

 

guarda questo MAGNIfico tributo a cura di Rossella Spinosa

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