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PARLA ACQUARONE. «I MIEI SEI ANNI DA INCUBO»
di Pier Augusto Stagi | 04/10/2019 | 07:48

Accusato e processato proprio come un signor K qualsiasi. Come il protagonista de “Il processo” di Franz Kafka, Michele Acquarone - per cinque anni direttore generale di Rcs Sport (2009/2013) e per due direttore del Giro - ha dovuto vivere per sei anni interminabili un incubo ad occhi aperti.

La fine dell’orribile storia ha una data: 19 settembre, quando la quarta sezione penale del Tribunale di Milano ha respinto le richieste di condanna del pm Adriano Scudieri. Tutti gli imputati assolti, tranne l’ex impiegata amministrativa, nel processo per truffa aggravata, malversazione a danno dello Stato e altri reati fiscali, per un ammanco da 15 milioni di euro nella società Rcs Sport.

«Sono stati sei anni difficilissimi e duri, nei quali ho pensato davvero di morirci e Sergio, mio papà, ne è morto nel 2013 a soli 72 anni – racconta oggi Michele Acquarone con i suoi modi da incorreggibile ottimista -. Mi è successa una cosa che davvero non auguro a nessuno, neanche al mio peggior nemico. È stata un’avventura violenta e brutale, per me e per la mia famiglia, che mi ha lasciato un segno profondo e mi ha fatto guardare il mondo anche da un’altra angolazione. Quando succedono certe cose, o ti uccidono o ti insegnano a vivere. Io, per molto tempo in verità, sono stato  costretto anche a sopravvivere. Avevo solo una missione: mandare avanti la famiglia. Dovevo lottare per loro, per Elena e i nostri tre figli».

Lottare ha lottato, innanzitutto per trovare lavoro, che non è la cosa più semplice del mondo. «Ho spedito curriculum in ogni angolo del mondo, ho fatto lavoretti di ogni tipo, come quando ero ragazzo. Però il mio obiettivo era trovare un lavoro stabile – ci racconta -. Ci sono voluti due anni di porte in faccia per realizzare compiutamente che un lavoro vero, nelle situazioni in cui ero, non l’avrei mai più potuto ottenere. A fine 2014 in realtà ci arrivo vicinissimo. Alla Fiera di Friedrichshafen sono pronto a firmare un contratto con un’azienda che nessuno ancora conosce e con la quale sto già collaborando da qualche mese, e che oggi è divenuta una bellissima realtà: la Zwift. Erano disposti anche a riconoscermi il 5% delle quote. Ma al momento della firma si bloccò tutto, per la mia questione legale aperta. Per quella spada di Damocle che pendeva sulla mia testa. Ero una figura ingombrante, per non dire scomoda. E la stessa cosa si è riproposta qualche mese dopo, quando mi proposero di diventare direttore generale dei paesi del Mediterraneo per la NBA. Tutto bene, fino all’ultimo incontro: grazie per la collaborazione, ma noi cerchiamo persone “risk free”, mi dicono».

Ricomincia da zero Acquarone, nel vero senso della parola. Come un adolescente che cerca di arrotondare la paghetta mensile con qualche lavoretto saltuario. «Cambiamo lo stile di vita – precisa -: basta macchina, basta vacanze, basta tutto, ma come diciamo Elena ed io, bastano anche un libro e una pizza per essere una bella famiglia. Non è facile per i ragazzi, soprattutto per il più grande, che viene deriso dai compagni di scuola, con battutine sgradevoli. La cosa che mi ha fatto più soffrire? Il modo in cui l’azienda si è liberata di me. come se fossi un appestato. La sentenza per loro era già stata scritta e passata in giudicato: non c’era né da spiegare né da discutere. Mi hanno tolto il lavoro più bello del mondo. Sono stato cancellato, anche nelle fotografie, come racconta Jean Michel Guenassia ne “Il club degli incorreggibili ottimisti”, un libro bellissimo che sto leggendo proprio in questi giorni e nel quale si narra, tra le tante cose,  di come la nomenclatura dell’est arrivava ad annullarti, cancellandoti anche dalle fotografie. Se qualcuno lo decide, tu non ci sei più».

Michele Acquarone in verità c’è e non perde l’ottimismo, che sarà anche il profumo della vita, ma è soprattutto dato dalla sostanza di un lavoro e di un processo che deve portare fuori dalle nebbie quest’uomo. «E come in tutte le storie, anche le più dolorose e brutte – prosegue Acquarone -, in questi anni ho incontrato persone eccezionali, dei veri e propri angeli, come Luciano Bernardini de Pace, editore di “Rolling Stone”. Ma un grazie lo devo anche dire agli amici della North Star, così come alla Vm6 o alla Finarte. E a Gianluca e Antonella Rana, dell’omonimo pastificio. Adesso però, dopo tanto tempo, sono tornato ad avere un lavoro stabile, con un contratto a tempo indeterminato. Sono direttore commerciale della D-share, società che vende soluzioni tecnologiche e di contenuto per i media».

Oggi Michele Acquarone, quell’incorreggibile ottimista, ha voltato pagina. Lui con fatica immane la sua corsa l’ha in ogni caso vinta. Il mondo del ciclismo, invece, qualcosa ha perso. E nemmeno lo sa.    

 

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