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MAGRINI, INIMITABILE INNAMORATO DEL CICLISMO E DELLA VITA
di Pier Augusto Stagi | 26/12/2019 | 08:20

Correva in bicicletta, ma si è fatto conoscere per la voce. Per la capacità di imitarne un’infinità, anche se oggi la più riconoscibile è la sua. Da corridore-imitatore a commentatore di Eurosport. In mezzo c’è lui, Riccardo Magrini, montecatinese doc, classe’54 (a proposito, proprio oggi compie 65 anni, auguri), che per il ciclismo è di tutto e di più.

Corridore professionista (dal ’77 all’86), direttore sportivo, dirigente sportivo, oggi punto di riferimento, figura aggregante, dirompente e competente, tutt’altro che paziente, visto che va sempre di fretta con quel suo cuore ballerino. Due anni fa è stato preso per i capelli da un collega di Sky (Lucio Rizzica, ndr) che, grazie alle sue provvidenziali competenze in materia, l’ha salvato al fotofinish con tanto di massaggio cardiaco ben calibrato e una respirazione bocca a bocca da urlo. «Mi ha dato un bacio e mi sono risvegliato come Biancaneve, solo che lui non era il Principe azzurro, ma qualcosa di più… », dice il Magro, che dell’ironia ha fatto un marchio di fabbrica.

È tanto, Riccardo Magrini. Di mole considerevole e presenza scenica importante. E sempre stato così, fin da ragazzo. Fin da corridore, quando in gruppo si è fatto largo e apprezzare più per la sua simpatia che per le sue doti di ciclista. Ha vinto una tappa al Giro e una al Tour, ma Adriano de Zan, figlio di attori di operetta, ne individuò immediatamente le doti di uomo di spettacolo.  «Anche quando vinsi la tappa di Montefiascone al Giro – racconta oggi Magrini -, De Zan mi volle in tivù non solo per raccontare il mio gesto atletico (vinse per distacco, davanti a Marino Lejarreta e Moreno Argentin, ndr), ma per fare l’imitazione di Jerry Lewis e anche la sua, che gli piaceva un sacco. Mi faceva cantare, soprattutto Celentano: insomma, sono stato un buon corridore, ma sono diventato un personaggio per quello che sapevo fare al di là della bicicletta, per le mie improvvisazioni, come se fossi anch’io un personaggio della commedia dell’arte».

Riccardo Magrini non ha mai smesso di cantare e imitare. Non ha cessato mai, nemmeno per un minuto, di tenere banco e far “baracca” anche quando è stato chiamato in ammiraglia a dirigere gente del calibro di Marco Pantani e Mario Cipollini. Lui è sempre stato fedele a se stesso: chi lo vuole lo prende così. Ed Eurosport l’ha preso nel 2005 per tenerselo ben stretto in tutti questi anni. Ha creato un linguaggio tutto suo il Magro, fatto di “fagianate” e “miciole”,  di “Veglioni del Tritello” o “catene incatricchiate”. Con Luca Gregorio, voce guida e complice ad Eurosport, ha dato vita anche un dizionario pieno zeppo di termini ciclistici e di neologismi creati ad arte.

Ora, sulla sua strada, ha trovato un altro vulcano come lui. Un innamorato della bicicletta, Antonio Monti, lombardo di Rescaldina, uomo di finanza e di finanze, che ha deciso di investire nel ciclismo giovanile con una squadra tutta sua – il Team Monti – che il prossimo anno sarà il vivaio della belga Deceunick Quick-Step, la formazione di Patrik Lefevere, che può contare su fuoriclasse del calibro di Julian Alaphilippe. «È un progetto molto ambizioso e stimolante – ci spiega Magrini, che della formazione sarà team-manager –. Saremo vivaio di una delle formazioni più forti al mondo, nelle ultime due stagioni la più vincente in assoluto (quest’anno 70 vittorie, ndr). Tony Monti è il nostro valore aggiunto, sta a noi a questo punto renderlo felice».

Tony Monti è uomo di cuore, come Riccardo Magrini. Qualche settimana fa ha organizzato all’Ariston di Sanremo “Campioni&Canzoni”, una rassegna canora a sfondo benefico, che ha visto sfilare nella città dei Fiori una infinità di fuoriclasse del nostro sport. Dalla regina dell’atletica Sara Simeoni a Isolde Kostner, per passare da Kristian Ghedina a Ciccio Della Fiori, grande fuoriclasse del basket che si è poi aggiudicato la gara. Con loro anche Claudio Chiappucci, Gilberto Simoni, Evaristo Beccalossi, Stefano Tacconi e uno dei decani dei procuratori sportivi Claudio Pasqualin. Direttore finanziario Tony Monti, che ha messo i danè, mentre Riccardo Magrini ha svolto con passione e competenza il ruolo di direttore artistico. «La verità è che mi hanno fatto fuori – dice -. Ad Andora, un anno fa, con “Una carezza in un pugno” di Adriano Celentano ho vinto a mani basse e allora mi hanno invitato a cantare fuori competizione. Un modo elegante per farmi stare alla larga».

Tiene banco, Riccardo. Con lui non servono domande: lui parte e poi chi lo ferma... Il resto è commedia dell’arte, improvvisazione, attorno ad un canovaccio che può essere una tappa del Giro o del Tour, se non una classica. Lui prende per mano il telespettatore e lo accompagna per delle ore, raccontando di tutto, anche della sua famiglia, dei suoi amici, della sua passione per i cavalli. «Ho vinto dieci corse sulle 52 disputate».

Ha resistenza da vendere e non è un caso che da ragazzo sia anche un buon mezzofondista nell’atletica leggera. Poi però ha prevalso il ciclismo. Ha frequentato l’Istituto Alberghiero a Montecatini, alternando gli studi con gli allenamenti.  «Vinsi la prima corsa già a settembre del 1971 – ricorda il Magro -. Ho sempre avuto l’argento vivo in corpo: nessuno mi teneva fermo. Battagliero dall’inizio alla fine. Uomo squadra e d’attacco: sempre in fuga. Tantissimi piazzamenti e qualche vittoria. Però sono ingombrante. Nel 1981, alla Santini Selle Italia, rischio di non fare il Giro d’Italia a causa anche del mio carattere ingombrante, troppo esuberante. Un corridore che rideva, scherzava in gruppo, faceva le imitazioni e suonava la chitarra era considerato troppo fuori dagli schemi. Poco serio. Oggi sarei come Sagan, meno vincente ma sicuramente più bizzarro».

E come Sagan vince anche al Tour de France: una volta sola, ma vince. A l’Ile d’Oléron, 8 luglio 1983. «Parto secco ad un chilometro dall’arrivo e i velocisti riescono a malapena a restarmi in scia senza superarmi. Secondo arriva il belga Vanderaerden e terzo lo svizzero Glaus. Quinto Sean Kelly, scusate se è poco. Erano sei anni che un italiano non vinceva al Tour e dunque il mio successo ebbe parecchia risonanza». Che dire di più di Riccardo Magrini: vinceva, cantava e faceva imitazioni. Nessuno come lui: inimitabile.

 

 

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