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COPPI100. QUEL FAUSTO CHE L'ITALIA...
di Gian Paolo Porreca | 14/09/2019 | 07:15

100 anni fa nasceva - 15 settembre 1919 - Coppi, Fausto Coppi, all'anagrafe di Castellania, Piemonte aspro, Fausto Angelo Coppi. Cento anni fa, e moriva molto prima neanche a 40 anni, il 2 gennaio 1960, quel Coppi ciclista e campione, icona dello sport migliore come fu il ciclismo, perchè identità fantastica di una nazione una, a metà del secolo scorso, fra guerre e dopoguerre, per un universo di persone che metaforicamente, per vivere, doveva pedalare in salita.

Cento anni fa, nasceva quel Coppi figlio e padre di tutti, un secolo di mondi e di strade fa, dagli aratri nei campi agli aerei nei cieli, una scontrosa parabola alla Luigi Tenco, il contadino figlio di Domenico e fratello del povero Serse, che si fa emblematicamente airone, perché i piedi non gli era congeniale posarli per terra, ma prediligeva per loro naturalmente, anche da garzone della salumeria Merlano a Novi Ligure, dove cominciò ad inforcare una bici da lavoro, il riparo della pedivella, il suo tepore improprio, anche nella tempesta dell'Abetone al Giro del '40, il suo primo vinto, che lo portò alla luce della fama.

Quel Coppi, di tutti gli italiani, dal Po alla Sicilia, e viceversa, di tutte le contrade della penisola, isole comprese, semmai pure fuso in un metallo comune con l' avversario ed amico Gino Bartali, dal viso disegnato, o solo segnato, da una mite malinconia, anche quando fu straordinario vincitore alla 'Roubaix' del '50 o a Bormio al Giro del '53.

Quel Coppi pudico, guardatelo in ogni foto, uomo mai altero, quasi indifeso quando sceso dalla bici che per lui era un democratico trono, eppure bersaglio designato per una storia di amore extraconiugale dell’Italia ultramoralista del primo dopoguerra, tutta casa, chiesa e case chiuse, e di essa vittima, oltre che di tante cadute, non certo di avversari leali come Koblet Ockers Kubler Van Steenbergen Bobet Robic Magni, che talora lo batterono, ma non lo raggiunsero certo mai.,

Quel Coppi lì, dello Stelvio e della Cuneo-Pinerolo del '49, dello Izoard e del Puy de Dome, che ci insegnò a cercare fanciulli dove fossero realmente i Pirenei, cinque Giri d'Italia ('40, '47, '49, '52 e '53), e due volte pure il Tour ('49 e '52) per un doppio bis leggendario, cinque 'Sanremo', cinque 'Lombardia', il Mondiale a Lugano nel '53, una miriade di successi su strada e in  pista, contro Schulte o contro Nolten, dovunque ci fosse ciclismo, quel Coppi che stava a Bartali non solo in senso tecnico, come Gimondi a Merckx poniamo, ma anche in una lettura sociale, come l'Infedele al Pio, lui amante fuori del talamo l’altro terziario francescano, nella banalizzazione dei rotocalchi di allora.

Quel Coppi lì, italiano e del mondo da ogni angolazione, si pensi alla venerazione oltralpe di Jean Paul Ollivier e Pierre Chany, quel Coppi cacciatore di lepri e di fagiani, è pure tenerissimo padre, ce lo ricordavano altra sera in Rai a Milano a voce unica i suoi due figli (di due madri, Bruna Ciampolini. la prima, Giulia Occhini, il secondo) Marina e Faustino…

Quel Coppi che la ‘Sanremo’ del ‘46 la vinse con 14 minuti di vantaggio sul secondo, il francese Teisseire, che ormai solo per questo viene rammentato, e la Rai d'antan che in attesa appunto che arrivassero gli altri - il resto del mondo, dopo Coppi - trasmetteva musica da ballo, (Quel Coppi nato un secolo orsono, centinaia di libri su di lui, speciali, riviste, antologie, biografie, fiction televisive ed opere teatrali, strappato drammaticamente alla vita, certo un po' come James Dean e Elvis Presley, tanto per modernizzare i paralleli,, ma talmente antico nellla sua figura simbolica, da meritare ancora la mitologia greca ed Omero, semmai, eroe come Sarpedonte, che morì tanto giovane solo perché troppo caro agli dei dell’Olimpo.

Quel Coppi, della gioia nazionale a Lugano '53 e del dolore di tutti, al 'Lombardia', nel '56, per quello sprint perso fra le lacrime contro Dedè Darrigade, il velocista francese che proprio lui aveva voluto nella ‘Bianchi’, l’anno prima. E che dopo l'arrivo al Vigorelli gli avrebbe chiesto quasi scusa, e lui, lui Coppi, gli avrebbe invece risposto’ ‘sereno,, Dedè, sono le corse’, come a dire a lui e se stessi, ‘tranquillo, c' est la vie', pure in coda a quello sprint che lui aveva intuito, a 37 anni, come l'ultima chance di gloria. Lui che correva, non a caso, per la Carpano, la casa piemontese produttrice di aperitivi e vermouth, un Punt e mes di amaro.)

Quel Coppi di tutti, sconfitto da una malaria recidiva, contratta in una tournée promozionale in Africa, il 2 gennaio del ‘60, una fine che ammutolì l'Italia, e il mondo. Quando cominciava, con una fine, un altro sport, ed un’altra epica.

E quel Coppi di Castellania, che da domani si chiamerà Castellania Coppi, per onore alla nascita, dall'Italia di tutti andava via in parti uguali, ma se è lecita la parzialità del ricordo, egoisticamente anche da quello che era stato di speciale per noi, E viceversa, noi, la Campania, da Salerno a Caserta a Napoli,, una seconda primogenitura.

La Campania che sarebbe stata difatti la prima Italia che Coppi avrebbe riconosciuto, nell' inverno del '45, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando proprio grazie a Napoli e alla passione dei suoi sportivi dell’epoca, lui, un Coppi reduce dalla prigionia nel Nord Africa e poi sbarcato a Salerno e destinato al campo della RAF di Caserta, come 'prigioniero cooperante', agli ordini del tenente Towell, riuscì a salpare per il secondo e il terzo tempo della vita civile e della gloria sportiva.

Lui, che nel minuscolo borgo di Ercole, frazione di Caserta, oggi rettangolo orgoglioso di storia del ciclismo, trova affetto e solidarietà, gli amici Schwick e Soletti, la signora Mazzocchi, monsignor Gravina, palazzo Antonucci, anche le cure per riprendersi da una prima malaria mal curata in Algeria, E dove ritrova, in una vicenda intima, forza e convinzione, il suo Santo Graal, il talismano della sua storia, la bicicletta nuovamente, una bici che non fosse quella operaia del campo della RAF, ma una bici da corsa, su cui provare a confrontarsi, ad allenarsi, lui che era sempre, anche se di fatto un reduce sconfitto di guerra, l'ultimo vincitore del Giro d'Italia, quello del '40, e il recordman dell'ora in carica, stabilito al Vigorelli il 7 novembre '42, in una Milano sotto la minaccia dei bombardamenti…
Quella bici che Coppi trovò a furor di popolo, a Napoli, dove frequentava il ritrovo ciclistico della grande famiglia Milano, con don Vincenzo, titolare del panificio di Borgo Sant' Antonio Abate, per i buoni ufficidel calciatore Umberto Busani, e 'La Voce di Napoli' diretta da Gino Palumbo che per lui lanciò una pubblica petizione, 'una bici per il soldato Coppi'...

E sulla 'Legnano' donatagli dal falegname D' Avino di Somma Vesuviana, Coppi risaliva in sella, 'è il 6 gennaio, giorno della Befana', raccontava.  Senza forse neanche presagire, felice come un esordiente nuovamente, che il 30 aprile '45, a conflitto bellico ormai finito,, sarebbe partito proprio in bicicletta, traversando l'Italia devastata di macerie, per >tornare a casa. Già, una Caserta - Castellania, rievocata su bici di epoca proprio in questi giorni, a ribadire un inossidabile fil rouge di amicizia.

Coppi e la Campania, allora, dove sarebbe sempre tornato, per gratitudine, e dove avrebbe siglato le imprese del Giro della Campania, la classica organizzata dal nostro giornale, del '54 e del '55. E se nel '55, ci fu per Coppi lo straordinario volo sull' Agerola, da Bomerano, 'Agerola come il Falzarego', titolava 'Il Mattino', la cavalcata trionfale sul tratto di autostrada Pompei - Napoli e l'apoteosi all'Arenaccia con quattro minuti e più su Magni e Astrua, il 'Campania' del '54 aveva avuto davvero un profumo inebriante in più, non retorico, di amore.

Certo, quel 'Campania' Coppi l'aveva fatto suo, in maglia da campione del mondo, superando in pista Gismondi e Gauthier, in una velodromo gremito all' inverosimile e le finestre e i balconi del Vasto stipati come spalti, fra applausi e gerani, ma aveva in serbo quel 4 aprile del '54 qualcosa di speciale in più, per Coppi iridato, ben oltre il bacio di una miss. C'era un premio unico, Giulia Occhini, la 'dama bianca' dell' Izoard, infatti al seguito, clandestina della corsa, per tutti ma non per Riccardo Cassero, capo dello Sport e patron del ‘ Campania’’, che alla vigilia lo  aveva anticipato al direttore Giovanni  Ansaldo. ‘Direttore, Fausto Coppi vorrebbe che in carovana ci sia anche la signora Giulia Occhini, una compagna particolare per lui, capito, possibile ?’. E come si poteva dire di no, anche se all’ epoca le donne al seguito non avevano cittadinanza, alla richiesta di un primattore come Coppi, per giunta con la maglia di campione del mondo? Fausto e Giulia in fuga di amore, vittoriosi due volte, con il mattino a sorridere, latitanti della passione in quella Italia di falsi pudori, dall’Arenaccia di piazza al ‘Santa Caterina’ di Amalfi. in una berlina targata Alessandria..., come ricordava Luigi Compagnone. Coppi, ancora, il Criterium di Napoli, il Gran Premio di Apertura, dopo la guerra...

Coppi, la matricola trionfatore del Giro ‘40 che a diventare Coppi maggiore aveva cominciato, recuperando vita e gloria, in Campania. ad Ercole di Caserta. E che l’ultima vittoria, e commuove ancora, l’ottenne il 4 novembre del 1957, Festa della Vittoria, al Trofeo Baracchi, la cronometro a coppie, con 4 esilissimi secondi di margine sugli svizzeri Graf e Vaucher.

In coppia, e certo non prefigurava l’ eco simbolica di questa notazione, con il giovane talento Baldini. Di nome, solo un caso allora, ma un segno del destino per la sorte ventura, Ercole. Come una sfumatura di sorriso, per il congedo ingrato.

da ‘Il Mattino’

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