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COPPI100. BONARIVA. «IL MIO FAUSTO, UN SIGNORE»
di Pier Augusto Stagi | 14/09/2019 | 07:43

È uno degli ultimi gregari di Fausto Coppi. Uno di quelli che può raccontare a ragione di aver vestito la stessa maglia biancoceleste della Bianchi e di avergli anche passato la borraccia. Certo, immagine non iconica come quella tra il Campionissimo e Gino Bartali, ma quanti possono dire di averlo fatto e, soprattutto, quanti sono in possesso della fotografia che testimonia le “beau geste”? Ben pochi.

Alfredo Bonariva, milanese, 85 anni da compiere il prossimo 5 dicembre, professionista dal ’57 al ’61 con tre vittorie al suo attivo può dire a ragione di essere stato un uomo fidato di Fausto Coppi. Una carriera da buonissimo pistard, una più che discreta da stradista. «Ho corso con Fausto solo nel ’58, anche se lui mi avrebbe voluto anche l’anno successivo alla Tricofilina – ci racconta dalla sua casa di Baranzate -, ma a causa della Dama Bianca questo è rimasto solo un sogno. Io e Tonino Domenicali avevamo una buonissima proposta per il ’59 dalla Ignis di Ercole Baldini, ma in ballo c’era il rinnovo con Fausto che lasciava la Bianchi. Andammo da Milano a Novi per incontrarlo. Arrivati in villa suonammo e la signora Giulia Occhini ci accolse sull’uscio in maniera sbrigativa dicendoci che Fausto non c’era. Non ho mai saputo se questo fosse vero; conoscendo la sua gelosia, il suo atteggiamento oltremodo protettivo nei confronti di Fausto, ci credemmo poco, così risalimmo in macchina e tornammo a casa per accettare la proposta di Baldini».

Alfredo Bonariva in seguito sarà anche un apprezzato dirigente sportivo e l’uomo che per primo puntò sul ciclismo femminile, tanto da essere considerato a ragione il “papà” del movimento “rosa” italiano, ha guidato nella sua carriera campionesse del calibro di Mary Cressari, Luigina Bissoli, Morena Tartagni, Rossella Galbiati, Francesca Galli, Imelda Chiappa, Roberta Bonanomi, Maria Canins solo per citarne alcune. Ma guai a definirlo l’ultimo gregario di Coppi… «Intanto perché in vita ci sono ancora Gianni Ferlenghi, che di anni ne ha 88, e poi Dino Bruni che di anni ne fa 87. Siamo rimasti in tre, ecco il perché non sono l’ultimo gregario».

Solo un anno al servizio del Campionissimo che l’ha segnato profondamente. «In quel ’58 potevo passare alla Cademartori, una formazione che credeva fortemente in me e che aveva come patron Gino Longoni, figura di riferimento per il ciclismo brianzolo di allora. Mi disse: “Fai tu, porta chi vuoi”. Io coinvolsi in quell’avventura Franco Cribiori, Filippo Muscolino, Antonio Bailetti, Giacomo Grioni, Vittorio Poiano, insomma un po’ di amici bravi pedalatori, poi mi arrivò la proposta dalla Bianchi di Fausto per voce del diesse Franco Aguggini. Cosa faccio? Ne parlo a Longoni, lui da buon padre capisce, e fa la squadra senza di me. Alla Cademartori forse avrei potuto vincere di più, ma aver corso anche per una sola stagione con il Campionissimo è stata per me la vittoria più importante della carriera».

Tanti i ricordi, neanche a dirlo: tutti belli. «Ma Fausto era davvero un grande signore – aggiunge Alfredo -. Voleva che noi compagni di squadra gli dessimo del tu, ma nessuno si scostava dal lei. Era per noi una figura mitica, una divinità dal carisma incredibile. Grande personalità, ma anche grande cuore. Io facevo parte della sua ristretta schiera di fedelissimi per i circuiti. In quegli anni se ne facevano tantissimi: quell’anno ne disputai 34. Se correvo da solo il mio ingaggio era attornio alle 15.000 lire, con Fausto 25.000. Erano soldi. Se proprio devo dirla tutta avanzo ancora 125.000 lire, ma non per colpa del Fausto, che ha sempre onorato tutto».

Alfredo pedala leggero con la memoria «perché in bici non ci vado più. Volevano che partecipassi alla Caserta-Castellania, ma non ho più l’età. Mi limiterò ad andare a casa del Fausto oggi, per le celebrazioni», precisa questo signore dall’eloquio elegante, con tanto di erre marcata, che lasciò agli inizi degli Anni Cinquanta la Feltrinelli, dove inseguiva il diploma da perito industriale e anche il lavoro di garzone in un negozio di cucine su misura, per dedicarsi al ciclismo.  

«Mi è sempre piaciuto il ciclismo e me la cavavo – ricorda -. Non ero certamente un campione, ma un buon corridore si. Nel ’56 facevo parte della squadra dei probabili olimpici per i Giochi di Melbourne (vinti da Baldini). La cosa curiosa, però, è che io ero un tifoso di Bartali, e mi sono ritrovato in un bel momento a pedalare con Coppi. Che personaggio… Spesso il Campionissimo mi chiamava quando in sella alla sua Bianchi veniva a Milano per far sistemare nella bottega di Giuseppe De Grandi, detto “Pinella” (in piazzale Ascoli), la sua bicicletta. Ci incontravamo a Pavia, e poi assieme arrivavamo a destinazione. Sistemate le cose io lo riaccompagnavo a Pavia, mentre lui tirava dritto verso Novi e io tornavo a Milano».

Saranno tre i gregari di Fausto rimasti in vita, ma in quella Tre Valli del 1958, valevole come premondiale in vista di Reims (vinto da Baldini), Alfredo Bonariva è davvero l’ultimo gregario. L’uomo che ha aiutato come nessun altro il Campionissimo ad acciuffare l’ultima maglia azzurra. «Fausto non era in grandissima condizione, ma ci teneva a vestire ancora una volta l’azzurro – ci racconta Bonariva -. Mi dice. “Stai vicino a me e non mollarmi mai per nessuna ragione al mondo”. Ricordo che la corsa passava per Cocquio, nei pressi di Cittiglio, terre del Ct azzurro Alfredo Binda. In quel paese c’era un tratto di sterrato e in ben due occasioni Fausto buca: io in entrambe le circostanze gli passo la mia ruota. Fa una buonissima gara e chiude al 7° posto, piazzamento che gli vale la convocazione azzurra».

Favorito di quell’edizione iridata è il francese Louison Bobet che, oltre a correre in casa, ha una condizione invidiabile. Ed è proprio Bobet a scattare al secondo dei quattordici giri in programma, seguito da Gastone Nencini, Gerrit Voorting ed Ercole Baldini. Le cronache riportano che fu proprio il Campionissimo – regista in corsa - a dire a Baldini di entrare nella fuga, anche se il “treno di Forlì” sostiene ancora oggi che lo fece solo e soltanto per mandarlo al massacro. «Non sono d’accordo – ribatte Bonariva -. Io in corsa non c’ero, ma ho raccolto successivamente lo sfogo di Federico Bahamontes, che voleva inseguire quella fuga – e non era il solo -, ma Coppi lo convinse promettendogli un premio dalla Federazione che mai è arrivato. Se uno vuole mandare al massacro qualcuno, non s’impegna poi a bloccare in prima persona il gruppo con argomentazioni convincenti».

Più che convincente.

 

 

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