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GLOBULI ROSSI E NORME, RIFORME E RISCHI
di Pier Augusto Stagi | 24/10/2018 | 07:41

GLOBULI ROSSI E NORME. Ne parla anche Cristiano Gatti, nel suo spazio laggiù in fondo, visto che trattasi di fondo. Parla di sangue e tende, globuli rossi e squadre di calcio: soprattutto di calcio. Mi permetto solo di tornare su questo argomento molto pulp per fare alcune riflessioni.

La tenda ipossica/ipobarica è nella lista delle sostanze e dei metodi proibiti pubblicata dal ministero della Sanità, sezione 5, paragrafo M1, comma 1: grande o piccolo, è comunque uno svantaggio per le nostre squadre e per gli atleti degli sport individuali, che però spesso dribblano il problema andando ad allenarsi all’estero.

Che questa sia una norma semplicemente folle lo sostiene il dottor Giuseppe Capua, presidente della Sezione per la Vigilanza e il Controllo sul doping del ministero della Salute intercettato da Paolo Tomaselli del Corriere della Sera, che all’argomento ha dedicato un servizio molto dettagliato, uscito sul quotidiano di via Solferino il 21 settembre scorso. «Anche se è solo un rischio minimo, come medico sarei orgoglioso di vivere nell’unico Paese al mondo che le vieta», dice il dottore.

Di parere diametralmente opposto Vincenzo Pincolini, ora nello staff delle Nazionali azzurre: «È come mandare l’esercito per combattere le zanzare. Le vie del doping sono altre. E comunque, per tutto quello che è possibile, ci vuole uniformità col codice della Wada, l’antidoping mondiale».

L’uniformità, che bel sostantivo. Invece da noi c’è tutto e il contrario di tutto. Al contrario delle camere ipobariche/ipossiche, quelle iperbariche non sono considerate dopanti, pur prevedendo una manipolazione dell’ossigeno. Contrasti scientifici, imbarazzi normativi. Bandite le camere ipobariche/ipossiche, tollerate quelle iperbariche. Nel mondo si adoperano per produrre globuli rossi. Noi produciamo norme e confusione.

TUTTO FINITO. Non è il caso di drammatizzare o pensare in negativo: le cose, quando saranno più chiare, potranno apparire anche peggiori. Il ciclismo italiano rischia seriamente di finire. Non in soffitta, ma di finire: punto. L’Uci di David Lappartient punta decisa al ciclismo di alto livello, a quello di vertice, quello di World Tour, dei grandi budget e dei grandi investimenti (poco importa che un team vincente come la Quick-Step non riesca a trovare uno sponsor in più). Non c’è più spazio per il ceto medio, che mai come in questo momento storico sta vivendo il suo inesorabile declino. Siamo al piccolo è bello, ma grandissimo è ancora meglio. Siamo al tutto o niente: e noi nel niente ci troviamo benissimo. Le UCI ProSeries - le attuali Professional - avranno più costi e nessuna garanzia. Le wild-card per il Giro d’Italia saranno solo due, e non più quattro e sarà quindi decisivo capire se la Rcs Sport, nella persona di Mauro Vegni, deciderà di dare una mano al nostro movimento confermando l’intesa con la Lega di Enzo Ghigo in base alla quale chi si aggiudica la Ciclismo Cup acquisisce il diritto di correre l’anno successivo la corsa rosa. Se questo venisse meno, addio Lega. Addio corse italiane. E, di conseguenza, addio squadre. Piccola nota a margine, in questi ultimi anni una Professional come l’Androni Giocattoli di Gianni Savio, qualche corridore al World Tour lo ha portato: Bernal, Sosa, Davide Ballerini e via elencando. È una piccola formazione, ma serve. Eccome se serve.

QUALCOSA CADRÀ. Voglio rimanere positivo, e torno a parlare di ciclismo rosa, così Gatti questo mese mi può cordialmente mandare a quel paese una volta per tutte, visto che lui fatica da sempre a coniugare lo sport al femminile. Dal 2020 anche le donne avranno la loro riforma, i loro team di World Tour a tinte rosa. Anche in questo caso, a differenza del resto del mondo, chi rischia grosso è il nostro movimento, che fino ad oggi ha potuto godere e beneficiare dell’intesa corpi militari/team. Fiamme Oro, Fiamme Azzurre, Centro Sportivo dell’Esercito, assumono a tempo indeterminato ragazze che possono così allenarsi e correre anche per team, che per comodità chiamo privati, a fronte di un rimborso spese. Insomma, un binomio vincente, che ha consentito in questi anni al nostro movimento di crescere e confrontarsi con il mondo.

Adesso la musica è pronta a cambiare. Team come la Trek Segafredo, scendono in campo e fanno le cose come devono essere fatte: un gruppo di atlete trattate come se fossero maschietti. Con contratti di lavoro, contributi pagati e tutto il necessario. Bene, finalmente, direte voi. Certo! Ma il pericolo è che i corpi dell’esercito, a questo punto, si smarchino e lascino perdere tutto, chiamandosi fuori.

Le migliori atlete italiane vanno a correre per team attrezzati in giro per il mondo e qui restano o le ragazzine da svezzare, o quelle scarse? Bene, basta saperlo. Quindi potrebbero dire: grazie di tutto, ma da oggi ci occupiamo di Orienteering.

Il problema poi si manifesterà nella sua completezza con la gestione delle ragazze in chiave azzurra. Oggi Dino Salvoldi ha la massima collaborazione da parte di tutte le componenti, domani dovrà chiedere per favore se vuole avere una ragazza per uno stage azzurro, e non è detto che la risposta sia affermativa. Insomma, anche questa rivoluzione non mancherà di generare movimenti tellurici. Forse qualcosa accadrà, ma è più probabile che qualcosa cadrà: sul nostro movimento. 

Editoriale da tuttoBICI di ottobre

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