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FABBRO. «L'OBIETTIVO E' UNA TAPPA DI UN GRANDE GIRO, QUALUNQUE SIA...»
di Valerio Zeccato | 18/05/2020 | 07:40

«Tornare a pedalare su strada è stata una liberazione. Dopo due mesi di "rulli forzati" è stato bellissimo e ci fa capire quanto siamo fortunati a poter uscire in bici». Parole e pensieri di Matteo Fabbro, friulano di Codroipo della Bora-Hansgrohe che lo scorso 10 aprile ha compiuto 25 anni. Il corridore del team tedesco di World Tour racconta.

«La prima settimana da quando è arrivato il via libera ho pedalato sulle strade del mio comune, la seconda ho allargato il giro restando sempre in regione, sulle montagne friulane. La mia salita preferita è il Monte di Ragogna, è vicina a casa mia ed è il mio naturale terreno di test: sono 3,5 chilometri al 10%, una sorta di "muro". Era previsto nella tappa del Giro d’Italia di quest’anno con arrivo a San Daniele del Friuli, ora bisognerà vedere se verrà confermata. Quando allungo l’allenamento vado, verso il Lago di Garda, a Salò vive la mia fidanzata Corinna che ha lavorato, ed è amica, con Adelina, la moglie di Sonny Colbrell. Siamo molto amici e se possiamo ci alleniamo insieme».

Professionista dal 2018: due stagioni al Team Katusha Alpecin e da quest’anno alla Bora-Hansgrohe. Dalla Svizzera alla Germania, con le lingue quindi te la cavi bene?
«Alla Katusha mi sono trovato molto bene e li devo ringraziare perché hanno creduto in me e mi hanno fatto debuttare, poi hanno scelto strade diverse e non hanno più allestito la squadra quest’anno. C’è stata la chiamata della Bora-Hansgrohe e col mio manager, Raimondo Scimone, abbiamo deciso di accettare la proposta. Per fortuna nelle squadre straniere si parla prevalentemente l’inglese e ho dovuto impararlo bene, partendo però da una buona base scolastica, e adesso non ho alcun problema. Alla Bora è un po’ più difficile in quanto si parla il tedesco e avendolo studiato a scuola qualcosa mi ritorna in mente, ma ci vorrà del tempo. Per fortuna c’è il gruppo italiano, ci sono i polacchi che parlano bene la nostra lingua, e per il resto usiamo l’inglese e ce la caviamo».

Fabbro è un buon scalatore che se la cava molto bene anche a cronometro. Quest’anno nell’unica corsa a tappe alla quale ha potuto partecipare è andato molto forte: alla Vuelta a San Juan Internacional in Argentina ha ottenuto un ottimo 14° posto nella classifica finale generale ed entrato nei top ten (9° posto) nella cronometro di 15,5 km.
«E’ stata una sorpresa anche per me, quella in Argentina. Non me lo aspettavo di andare così forte nella crono, sapevo di essere andato bene, ma nei dieci non ci credevo. Sul passo me la sono sempre cavicchiata anche se non ho mai brillato, nell’ultimo inverno però ci ho lavorato molto e i risultati sono stati confortanti».

Ti piace quando la strada s’impenna sotto le ruote, nel tic-tac te la cavi bene. Matteo Fabbro può diventare corridore da corse a tappe?
«Bella domanda! Dire che posso vincere un Grande Giro è molto difficile, credo però di poter diventare un buon corridore da corse a tappe, viste le mie caratteristiche. Lo deciderà la strada, anche se qualche buon segnale in questi tre anni tra i prof è arrivato: nel 2019 dopo esser stato costretto a perdere buona parte di corse e allenamenti a metà stagione a causa di un’appendicite che mi ha costretto ad una ventina di giorni a letto, nel finale sono andato bene al Tour de Pologne col 14° posto finale e alla Vuelta in Spagna, il mio primo grande giro che ho concluso in 54a posizione».

Tra i dilettanti ti sei messo spesso in evidenza, però vincendo meno di quello che erano le tue potenzialità…
«Diciamo che il mio percorso tra gli Under 23 è stato costellato da infortuni. Detto ciò, la realtà è che non ho vinto tanto perché principalmente non sono veloce e nei gruppetti ristretti arrivo sempre ultimo in volata. Però mi sono sempre piazzato tantissimo».

Calendari pronti e, sembrerebbe, la ripresa della stagione ad agosto. Cosa ne pensi?
«Di problemi per il virus ce ne sono ancora, preferisco essere ottimista e spero vivamente che si ritorni a correre. Ne abbiamo tutti bisogno. Per il programma la squadra nei prossimi giorni ci dirà le sue intenzioni, se tutto andava normalmente in questo 2020 per me c’era o il Giro d’Italia o la Vuelta, adesso è tutto un punto di domanda?».

Facciamo l’ipotesi Giro d’Italia, vista la composizione della squadra e la vicinanza del Tour de France, ci potrebbe stare Matteo Fabbro uomo classifica?
«Se dovesse essere così mi farò trovare pronto. Mi auguro di poter avere la chance di pensare alla classifica, ma sarà il capitano del momento a dovermi dare il via libera».

Nella Bora hai come compagni di squadra corridori del calibro di Sagan, Ackermann, Majka, e altri italiani di spessore come Oss, Gatto e Benedetti. Come è il tuo rapporto con loro?
«Con tutti mi trovo bene, sono prima di tutto grandi persone e poi grandi atleti. In Argentina in alcune tappe si sono sacrificati per me dal primo all’ultimo, e francamente mi sentivo un po’ in "imbarazzo" nel vedere grandi campioni che mi davano una mano, non capita tutti i giorni. Poi che dire? Peter (Sagan, ndr) ha vinto tre Mondiali, un sacco di classiche e corse, eppure ti affascina per la semplicità e l’umiltà: è esattamente così come lo si vede in televisione! Un grande che non se la tira, non è geloso, ti dà consigli ed è sempre pronto ad aiutarti».

Un anno di contratto, quindi in questi pochi mesi del 2020 ti giochi la riconferma, sarà per molti altri corridori la stessa cosa. Ti preoccupa?
«Cerco di non pensarci e di non vivere con l’ansia del contratto a tutti i costi, non gioverebbe e non porterebbe a nulla di buono. Lo scorso anno fino alla Vuelta ero senza una squadra, ho capito che non è giusto farsi il "sangue amaro" e che invece bisogna viverla serenamente. Bisogna dare tutto quello che si può e non avere rimpianti: se so che ho fatto il massimo dormo sereno».

Avevi un corridore di riferimento, un idolo, quando eri giovane? E lo è rimasto nel tempo?
«Mi piaceva tanto lo scalatore spagnolo Joaquim Rodriguez, mi ispiravo a lui per le sembianze fisiche e per il suo modo di correre. Ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona e ho avuto la conferma che è davvero un grande. Ripetere le sue gesta? Non sarebbe male, ma lui ha vinto di tutto e di più, impensabile imitarlo».

Per chiudere hai una corsa che in questi pochi mesi di stagione vorresti vincere?
«Ho sempre puntato il dito sulla Freccia Vallone che mi piace tantissimo. Ma adesso sposto l’obiettivo: firmerei subito per una vittoria di tappa in uno dei tre Grandi Giri, non importa quale...».

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