Il collegio di difesa è a tutta. Nibali non l’ha scelto personalmente, ma questi sono avvocati che si fanno avanti spontaneamente, senza bisogno di convocazioni.
Dopo che la Rai, con i suoi milleduecento inviati dislocati ovunque, è riuscita a bucare l’unica intervista infuocata di questo Giro, quella di Nibali contro Roglic, il telecronista di Stato, Andrea De Luca, cerca di metterci una pezza senza badare a spese con l’enfasi, pescando a piene mani nella retorica dell’Istituto Luce: “Io ringrazio Vincenzo, viva Nibali, ha ridato antico smalto e vis polemica!”.
La sua spalla Stefano Garzelli non si può dire dissenta pesantemente: “E’ vero! Certo! Grazie Nibali!”.
Lo scrittore Genovesi vorrebbe essere il tenerone del gruppo, ma teneramente finisce per dare a Nibali del vecchio rinco: “Evviva, gli anziani dicono ciò che vogliono perché non hanno più filtri”.
Inutile che stia qui a spiegare: il solerte collegio di difesa è mobilitato per la riabilitazione di Nibali dopo la sua sbroccata dell’altro giorno, all’arrivo di Ceresole, quando in sintesi ha negato la stretta di mano a Roglic, gli ha insegnato come si vince un Giro e soprattutto l’ha umiliato con quella simpatica battutina da circolo dei ganassa, “se vuole può venire a casa mia per fotografare i miei trofei”.
Apprezzabile lo sforzo nazionale di girare la frittata, trasformando Nibali come minimo in un astuto provocatore tattico, come massimo in un profeta che pronuncia verità assolute senza peli sulla lingua.
E’ dura mettersi contro questo assordante coro italico, ma sinceramente non riesco ad accodarmi. Per quanto mi riguarda, senza farla tanto lunga e tanto tragica, Nibali ha perso un’ottima occasione per rendersi simpatico. Succede a tutti, succede anche a Nibali. Penso proprio che abbia sbagliato nella sostanza e nei modi. E per quanto io sia suo tifoso da sempre, anche quando tanti coristi dicono che ha vinto il Tour solo per le disgrazie di Froome e Contador, stavolta sto con Roglic. Non è più una questione di tifo: è una pura e semplice questione di giustizia.
Chiedo preventivamente: siamo sicuri che il collegio di difesa italiota avrebbe letto e accolto così la sbroccata anche a parti invertite? Se cioè uno straniero qualunque avesse negato la stretta di mano a Nibali, dicendogli sarcasticamente di andare a casa sua per vedere un trofeo? Siamo proprio così sicuri? La controprova io non l’ho, per cui passo oltre. Passo dentro al merito della questione.
Chiedo: perché Roglic non ha il diritto di correre come e contro chi vuole? Io ho imparato dai grandi direttori sportivi che un vero leader battezza un nemico, il nemico più pericoloso, e su quello lavora. Roglic ha chiaramente scelto Nibali (mica stupido) e su Nibali l’altro giorno si è concentrato. Non ha rincorso Landa, Zakarin, Carapaz? Non li ha rincorsi, adesso si ritrova Carapaz in maglia rosa, chiaro che dovrà cominciare a preoccuparsi pure di lui. E non poco. Le scelte sono rischiose, si può sbagliare, si può pagare caro. Ma la libertà di fare e di sbagliare è sacra. Anche quella di Roglic.
E comunque: Nibali ha tutto il diritto di sbroccare, di negargli la stretta di mano e di bulleggiare con il sarcasmo sui trofei in bacheca, ma il suo diritto è pari al diritto di trovarlo sgradevole.
Quanto a Roglic, è davvero vergognoso questo tentativo patriottardo di trascinarlo nella bega (per begare bisogna essere in due: qui ne vedo uno solo). Peggio: di dipingerlo come antipatico, ispido, rognoso, solo perché non si presenta ai raduni con il cappello di Arlecchino e non fa il ruffiano con i giornalisti.
Meglio che ce ne facciamo una ragione: Roglic è questo. Umanamente introverso. Punto. Se non ci piace che il Giro finisca a un tipo così, basta batterlo sulla strada, in gara, con le gambe. Come fa Carapaz. Le chiacchiere non fanno classifica.