Mai andato in bicicletta. Eppure, per chi va in bicicletta, ha fatto tutto e di tutto. Uno di quelli che, lontano dalle luci della ribalta, dietro le quinte e le transenne, dietro i podi e palchi, ma dentro i magazzini e le cucine, dentro le corse e i corridori, reggono il mondo rotondo.
E’ morto il Fiama. Renato Fiameni, cremonese di Genivolta, 73 anni: il Fiama. Professione: muratore. E poi tuttofare della Società ciclistica Imbalplast di Soncino, 47 anni di storia, colori blu e arancione, la vocazione di allevare e allenare bambini e ragazzi, togliendoli dai divani, dai telefonini, dalla strada e rimettendoli in strada ma su una bici. Come una scuola, però a pedali.
Il Fiama era burbero e buono, un po’ orso fuori e un po’ agnello dentro, il suo forte era la disponibilità: quando c’era bisogno, necessità, urgenza, bastava uno sguardo, una chiamata, una telefonata perché lui scattasse e risolvesse il problema. Era il braccio destro di Sergio Alzani, “la Locomotiva soncinese”, due anni da professionista con Gazzola e Salvarani, poi patron della Imbalplast. Ed era stato lo scopritore di Amilcare Sgalbazzi, otto anni da professionista e una vittoria al Giro d’Italia.
Giovedì scorso era prevista una riunione societaria della Imbalplast: organizzazione, calendari, varie ed eventuali. Invece, prima, un malessere, un malore. La richiesta, anomala per uno come lui, di essere accompagnato in ospedale in auto dal figlio. Non ci è arrivato vivo. Succede quando si è abituati a pensare più agli altri che a se stessi.
Il ciclismo italiano – ma verrebbe da dire: lo sport italiano – si fonda su volontari, volonterosi, uomini di buona volontà. Il guaio è che ce ne sono sempre meno. E il ricambio, a tutti i livelli, è faticoso. La fuga estrema del Fiama, e di quelli come lui, generosi e impagabili gregari giù dalle biciclette, è un brutto colpo per tutti.