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di Marco Pastonesi | 21/08/2024 | 08:14

Sono state capaci di sospendere, se non le guerre, almeno quindici giorni delle nostre vite, regalandoci emozioni, liberando sentimenti, moltiplicando sogni. Quelle di Parigi 2024 sono state le Olimpiadi delle razze miscelate e delle etnie fuse, sono state le Olimpiadi delle lacrime versate e degli urli lanciati, sono state le Olimpiadi delle donne azzurre e dei quarti posti, per il nostro ciclismo sono state soprattutto le Olimpiadi delle coppie del madison e dei quartetti dell’inseguimento, dei fratelli Simone e Chiara Consonni, di Vittoria Guazzini e Pippo Ganna ed Elia Viviani.

A palloni fermi (le bocce non sono sport olimpico), si può tornare sulle Olimpiadi con Andrea Goldstein e il suo “Quando l’importante è vincere” (il Mulino, 176 pagine, 13 euro), un saggio storico su politica ed economia di “un evento straordinariamente importante da molteplici punti di vista, ricco di elementi simbolici e di implicazioni materiali”, che “può sembrare un’affermazione banale, e forse lo è, ma è anche una delle poche in cui si riconoscono tutti”, nonostante “il numero delle località candidate ad ospitare i Giochi è in calo vertiginoso, mentre gli investimenti richiesti e gli oneri, anche ambientali, che lasciano in eredità crescono inesorabilmente, di fronte a ricadute inferiori alle attese”, “scandali per abusi e doping”, “autoreferenzialità del Comitato internazionale olimpico” e “delle federazioni, peso ingombrante di politi, sponsor, tv e social”.

Goldstein è onesto: “Quanta ingenuità, o magari ipocrisia, c’è nella regola 50 della Carta olimpica, che recita che ‘non è permessa nessuna manifestazione o propaganda politica, religiosa o razziale su nessun sito olimpico’”, “l’illusione, che le Olimpiadi possano esistere in un mondo etereo, dove non esistono politica, interessi e rivalità” o “la testardaggine nipponica nel cercare di mantenere l’appuntamento di Tokyo 2020, in piena crisi COVID-19, fu innanzitutto dettata da considerazioni politiche: dimostrare al mondo, e alla Cina in particolare, che il Giappone non si fermava di fronte a nulla”, e ancora il “soft power”, (“la capacità di convertire l’ammirazione per usi e costumi politici e culturali di un paese in strumento per indurre le altre nazioni a cooperare, senza bisogno di ricorrere alla forza”) e lo “sportwashing” (“nascondere le proprie magagne sotto il tappeto di stadi e record”).

Per spiegare “Quando l’importante è vincere”, Goldstein ricomincia da dove e quando si assegnano e si preparano i Giochi (anche torce e mascotte), elenca chi gareggia (sport, discipline, professionismo…) e chi vince (il medagliere), precisa chi decide (Cio, federazioni internazionali, comitati olimpici nazionali, Tribunale arbitrale dello sport), svela a quali condizioni (dagli allenamenti agli abusi, dalla salute al doping) e a quali costi (bilanci e sostenibilità), infine scrive chi paga (contributi pubblici, sponsor, tv, spettatori).

Se Parigi 2024 è ancora nella pelle, Los Angeles 2028 è appena dietro l’angolo. Sarà il trionfo dello spettacolo o il ritorno alla semplicità? Vivrà in televisione o sui telefonini? Presenterà ancora boxe e tiro o punterà su altri breakdance e skateboard? In “Quando l’importante è vincere”, volendo, le risposte ci sono già.

 

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