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L'ORA DEL PASTO. GRAZIE MONICA, PER QUELL'EMAIL SU ALDO...
di Marco Pastonesi | 02/04/2022 | 08:10

Aldo Zuliani. Ha scritto o conosce la sua storia?, mi domanda Monica De Cecco in una email. Ci sono pubblicazioni che lo riguardano?, mi chiede Monica, che scrive da un paese della provincia di Udine e ha conosciuto Zuliani e la sua famiglia.

Le vite degli altri. Un privilegio. Scavare, esplorare, frugare, scoprire. Cerco sulla rete. Il sito www.museociclismo.it riporta una precisa biografia firmata dalla figlia Nadia. Friulano di Campoformido (Bressa di Campoformido, per la precisione), dove Aldo è nato nel 1929 ed è morto nel 2011. Corridore dal 1949, indipendente e poi professionista dal 1952 fino al 1956, prima nella Bottecchia, quindi nella Torpado, una vittoria di tappa nel Giro di Sicilia 1953 (e per tre giorni primo nella generale), primo nella cronosquadre al Giro d’Italia 1955 (a Genova, 18 km, l’arrivo sul lido di Albaro), poi un duro e onesto gregariato (per Fornara, Conte, Defilippis, Moser, Maule, Conterno...), quattro Giri d’Italia a portare borracce di alluminio e a spingere glutei di capitani, i primi tre conclusi, il quarto no, ritirato nella tormenta di neve sul Bondone.

Sempre sulla rete, un prezioso filmato di 25 minuti prodotto da coloret.it e disponibile su YouTube, in cui Aldo, a 78 anni, si racconta, in friulano e in italiano, sorridendo e stupendo, fra vecchie fotografie in bianco e nero e nuove immagini a colori, fra figurine e cartoline, fra ritagli di giornali e medaglie al valore, fra dorsali e quadri. La maglia tricolore dell’Udace, quella azzurra da dilettante sfiorata, quella blu e gialla della Bottecchia, quella blu e nera della Torpado. Meravigliose storie di fontane e pipì, fughe e crisi, sogni e sacrifici, fra Bartali e Coppi, Koblet, Magni e Nencini, “il ciclismo di una volta”.

Ma siccome “si legge solo quello che già si conosce” (così mi ripeteva Franco Rubis, art director della “Gazzetta dello Sport” ai tempi di Candido Cannavò), rileggendo “L’apocalisse sul Bondone” di Paolo Facchinetti ho trovato la testimonianza di Napoleone, così chiamavano Aldo Zuliani dopo che nella seconda tappa del Giro d’Italia 1953, la Abano Terme-Rimini, 278 chilometri, fu protagonista di una fuga di 200 chilometri e premiato con la faraonica somma di centomila lire, cinquecento a chilometro, riservata al corridore più combattivo. Zuliani raccontava che “quel giorno lì – il Bondone era l’ultima delle cinque salite nella tappa dell’8 giugno 1956 – fu una disfatta. Non avevo la mantellina, perché la macchina era davanti a seguire Maule e Moser. E ho patito un freddo maledetto. Ancora oggi ho la punta delle dita congelate, non le posso muovere bene. Due volte sono sceso dalla bicicletta, scuoteva, credevo di aver rotto la forcella e invece ero io che tremavo, avevo solo la maglietta e i calzoncini. La Valsugana era pericolosissima, la strada era ghiacciata, non si stava in piedi. Mi hanno caricato sull’ambulanza prima di Trento, era piena di gente ritirata. Io sputavo sangue, il dottore credeva che fosse grave e invece mi ero morsicato le labbra. Mi sono fermato perché era impossibile andare avanti, chi aveva la macchina è andato su al traguardo”.

Zuliani non ha mai abbandonato la bicicletta. Da corridore: pedalando, diecimila chilometri l’anno ancora a ottant’anni. E da ciclista: aggiustando, riparando, lubrificando.

Grazie, Monica.

 

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