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MULUBRHAN. «A PARITÀ DI RISULTATI, LE WORLD TOUR NON PRENDONO GLI AFRICANI»
di Nicolò Vallone | 17/02/2022 | 08:08

Ghirmay, Kudus, Tesfatsion, Gebreigzabhier, Teklehaimanot. Nomi che i super appassionati di ciclismo hanno ormai imparato a masticare. Portabandiera di una nazione cornafricana che per decenni ha dovuto lottare per non farsi schiacciare dall'ingombrante Etiopia, e che dal 1993 si è configurata come una vera e propria dittatura: l'Eritrea, protagonista delle migrazioni verso le nostre coste negli anni Duemiladieci eppure così poco conosciuta a livello di immaginario collettivo.

Dato che lo sport è uno degli strumenti più potenti per mettersi sulla metaforica mappa mondiale, chissà che questo Paese non possa trovare su sellino e pedali la propria strada verso una futuro migliore.

Ma tralasciando questi voli di Icaro e tornando alla prosaica attualità sportiva, nel Tour of Antalya di pochi giorni fa abbiamo fatto conoscenza con un altro esponente della banda ciclistica eritrea: Henok Mulubrhan, della Continental tedesca Bike Aid. Una ruota veloce di 22 anni che regge discretamente in salita. Nella queen stage di Termessos è rimasto in cima al gruppo fino alla fine, anche senza compagni ad aiutarlo nei tratti più duri, ed è arrivato quarto. Nella tappa finale a Piazza della Repubblica, ha visto materializzarsi ufficialmente il sesto posto in classifica generale.**

L'anno scorso Mulubrhan si è messo in mostra a latitudini ben più prossime a noi: podio al Medio Brenta e nella seconda tappa del Giro U23, top ten all'Appennino e in tappe del Val d'Aosta e del Tour de l'Avenir. Correva con un altro team, il team di sviluppo della Qhubeka (di stanza a Lucca). E aveva già in mano un contratto biennale con la "prima squadra", senonché a dicembre è arrivata l'ufficialità della non iscrizione al World Tour e lui, detto volgarmente, è rimasto fregato.

Da qui inizia il suo racconto: «A quel punto non mi ha cercato nessuna squadra. E pensare che nei mesi precedenti ero stato contattato dalla B&B Hotels ma allora dovetti rifiutare perché avevo già l'accordo con la Qhubeka... Per fortuna mi ha contattato Timo Schaefer, team manager della Bike Aid, e la sua proposta mi ha convinto. Lo ringrazio, anche se spero di stare qui solo per questa stagione e di trovare per l'anno prossimo quantomeno una Professional.» 

Del resto, non potrebbe esserci struttura migliore per un atleta africano in difficoltà: la Bike Aid, che celebra quest'anno il proprio decimo anniversario, ha tra le proprie missioni la crescita del movimento del Continente Nero. "L'Africa è piena di talento - si legge sul loro sito - ma se mancano le risorse non basta, e troppo spesso corridori dall'ottimo potenziale si ritrovano invischiati nelle difficoltà più disparate per entrare nei massimi livelli di questo sport".

Difficoltà che Mulubrhan stigmatizza senza mezzi termini: «Assolutamente, ci sono molti ciclisti forti in Africa! Il problema è che le squadre World Tour tendono a non volerci tesserare. Non chiedetemi il motivo, fatto sta che a parità di risultati con un altro corridore, di sicuro non ingaggiano l'africano. L'ex corridore sudafricano Robbie Hunter lo denuncia da almeno due anni: noi dobbiamo impegnarci e vincere il doppio rispetto agli altri per strappare un contratto nelle categorie più alte.»

Questo parlare di Africa nella sua interezza, intanto, ci fa tornare alla mente una domanda che molti di voi forse si saranno fatti: di tanti Paesi africani, anche ben più grandi e in via di sviluppo, come mai proprio l'Eritrea sta vivendo il boom ciclistico? La risposta di Mulubrhan, lo ammettiamo, è tanto inattesa quanto, a ben rifletterci, logica: «Tutto inizia dalla lunga colonizzazione italiana in Eritrea: ci avete trasmesso voi la forte passione ciclistica.» In effetti, è stata la nazione che l'Italia ha avuto come colonia per più tempo: dal 1890 al 1941.

Dopo questo piccolo ripasso di storia, chiediamo a Mulubrhan cosa prova nel tenere alto il nome dell'Eritrea nel mondo ciclistico: «Alla fine siamo un piccolo Stato - ci dice -, amo la sensazione di issare la nostra bandiera e mostrare al mondo di poter essere al top in Africa».

Una missione che si può compiere anche a partire da un bel piazzamento al Tour of Antalya. Step by step, rinunciando per adesso ai castelli in aria. «Partecipare a belle corse in Italia? Disputare i Mondiali in Ruanda nel 2025? Sarebbe tutto bellissimo - conclude il corridore eritreo - ma come faccio a parlarne oggi che non riesco ancora a trovare una sistemazione al di sopra delle Continental! Comunque la Bike Aid ha un bel calendario: ora mi concentro sul Tour du Rwanda al via domenica, una corsa alla quale tengo particolarmente».

Tsibuk E’dl, Henok.

**Bene anche l'altro eritreo in gara ad Antalya, Metkel Eyob della Terengganu (vincitrice classifica a squadre): Eyob è arrivato undicesimo nella tappa regina e decimo in classifica generale

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