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PAROLA AL MAESTRO ROCHE. «INSEGNARE AI GIOVANI MI INORGOGLISCE»
di Francesca Cazzaniga | 14/01/2020 | 07:50

È sulle strade di Calpe che Nicolas Roche sta preparando la nuova stagione insieme alla sua squadra, il Team Sunweb, il 2020. Per l’irlandese, classe 1984, sono grandi le ambizioni per la stagione che va ad incominciare con un sogno tutto particolare: dopo ben ventidue partecipazioni ai Grandi Giri - quattro Giri d’Italia, nove Tour de France e nove Vuelta di Spagna - nel suo palmares ci sono solo due vittorie di tappa in Spagna e l’irlandese vorrebbe qualcosa in più.
«Cerco un’altra tappa in un Grande Giro, in particolar modo al Tour de France. È qualcosa che mi manca..».
Lo raggiungiamo dopo un allenamento di sei ore per scoprire nel dettaglio programmi e ambizioni.

Qual è stata la sua prima corsa tra i professionisti?
«È stata la Parigi-Bruxelles, oggi Brussels Cycling Classic, nel 2004 come stagista della Cofidis, le Crèdit par Tèlèphone. È un ricordo bellissimo, l’emozione era tanta».

E la prima vittoria nella massima categoria?
«La quarta tappa del Tour de l’Avenir, nel 2006, con arrivo a Metz».

Alla vigilia della sua sedicesima stagione tra i prof, qual è il suo più bel ricordo?
«Ce ne sono tanti, ma forse il più bello di tutti è la vittoria nella seconda tappa della Vuelta 2013, quella con arrivo a Alto de Monte da Groba. È stata una vittoria speciale, soprattutto perché è stata la prima che ho ottenuto in un Grande Giro».

Quello più brutto invece?
«Anche qui ce ne sono tanti. Il più brutto in assoluto riguarda la 19esima tappa del Tour 2012: puntavo ad un posto nella top ten ma per colpa di una crisi di fame il sogno è svanito. È successo tutto a 5 km dall’arrivo, ho visto passare davanti a me tutta la mia stagione, in un attimo. Era un periodo in cui stavo molto attento al peso, cercavo di non mangiare troppo. Poi però ho pagato le conseguenze. Ero veramente demoralizzato ed stato un momento difficile da gestire dal punto di vista psicologico».

Che voto da al suo 2019?
«Un sette pieno, non posso lamentarmi. Ho corso bene tutto l’anno. Il momento migliore è stato l’inizio della Vuelta di Spagna, ero in grande forma. Purtroppo, però, in seguito ad una brutta caduta sono stato costretto a ritirarmi. Anche questo fa parte del gioco».

Qual è la sua corsa preferita?
«Senza dubbio la Vuelta di Spagna. Mi è sempre piaciuta fin da quando ero bambino. È la corsa che in assoluto ho più a cuore».

Ha rinnovato il contratto con il Team Sunweb fino al 2021. Come si vive all’interno della squadra?
«Mi piace molto il Team Sunweb. Sono il più anziano dei corridori ma con i giovani mi trovo bene. Spesso mi chiedono di raccontare le storie del ciclismo di qualche anno fa, sono molto curiosi. Si affidano ai miei consigli, sono felice di poterli aiutare e di poter essere un punto di riferimento per loro. C’è molta fiducia e rispetto reciproco».

«I grandi atleti imparano molto dalle sconfitte. È capitato anche a lei?
«Certo, ho fallito spesso. Soprattutto nel 2018, per me è la stagione da dimenticare. Non è iniziata male ma ho fatto molta fatica in gara. In bici stavo bene, in gara però ho sofferto molto. Nella vita privata ho divorziato ed inoltre hanno scoperto, per la seconda volta, la leucemia a mio fratello Florian; la prima volta era stata nel 2007. Sono stati momenti difficili, che hanno condizionato stato d'animo e rendimento».

Il ciclismo è in continua evoluzione. Secondo lei come cambierà nei prossimi anni?
«È cambiato tanto rispetto a quando ero più giovane ed è in continua evoluzione. Nei prossimi anni penso che le corse diventeranno sempre più corte a livello di chilometraggio e sulle strade ci sarà sempre meno gente, le corse saranno seguite soprattutto online».

Ora è in ritiro a Calpe, ma dove inizierà il suo 2020?
«Il primo appuntamento quest’anno sarà a febbraio, al Tour du Haut-Var».

Quali gli obiettivi per questa stagione?
«Per la prima parte della stagione il mio obiettivo sarà quello di aiutare i giovani. Probabilmente sarò al via del Tour de France e della Vuelta di Spagna. La tattica però non l’ho ancora decisa. Alla Vuelta sicuramente avrò più libertà e punterò a far bene nella classifica generale».

Siamo nell’anno olimpico. Volerà a Tokyo?
«Non lo so ancora, anche se confesso che mi piacerebbe molto. Sarebbe la mia quarta Olimpiade».

Se non fosse stato ciclista, sarebbe stato...
«Forse un rugbista».

Come vede il suo futuro?
«Voglio correre ancora per qualche anno. Non sono pronto per appendere la bici al chiodo. Quando arriverà il momento di smettere, mi piacerebbe rimanere nel mondo del ciclismo. Non ho fretta però, ci penserò più avanti».

Cosa le ha insegnato la bici?
«La bicicletta è una grandissima palestra di vita. Sei sempre a contatto con tante persone con un background molto diverso dal tuo, soprattutto a livello culturale. Viaggiare poi ti insegna tantissimo, ti aiuta ad essere più aperto mentalmente e a saper organizzare il tuo tempo nel migliore dei modi. Lo sport mi ha costruito una corazza con cui posso affrontare le situazioni in modo più deciso».

Tre parole per descrivere la bicicletta.
«Passione, sofferenza ed emozioni».

C’è un consiglio particolare che vorrebbe dare ai giovani?
«La bici, come tutto lo sport, è una parentesi bellissima della vita, ne è anche una metafora se vogliamo, ma non dura per sempre. Consiglio dal profondo del cuore di godersi ogni momento e di metterci tutte le proprie energie e voglia. Avere rimpianti, poi, è brutto».

A chi vorrebbe dire grazie?
«Ai miei genitori per aver creduto in me, anche se mio papà Stephen all’inizio non voleva che io corressi, è strano vero?».

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