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L'ULTIMA INTERVISTA. SAMUELE PRIVITERA E LA SANA OSSESSIONE PER LA BICI
di Federico Guido | 17/07/2025 | 00:10

Il nostro Federico Guido ha intervistato Samuele Privitera nello scorso mese di aprile. Una lunga chiacchierata che ha toccato molti temi e che ci piace riproporvi in questo momento, come omaggio ad un ragazzo che ci lasciato troppo troppo presto.

È davvero sorprendente, specialmente considerata la sua giovane età, percepire con che consapevolezza, determinazione e voglia di arrivare Samuele Privitera stia vivendo i suoi giorni da corridore. Al suo secondo anno nella Hagens Berman Jayco (la squadra di Axel Merckx che da questa stagione funge da vivaio della Jayco-AlUla) il classe 2005 di Soldano parla già in maniera decisamente matura, un effetto questo della mentalità scrupolosa e professionale, trasmessagli sapientemente anche dalle persone che lo circondano, con cui ha intrapreso il suo percorso nel ciclismo.  

Tale tragitto, al termine del 2025, potrebbe portarlo a siglare il suo primo contratto da professionista, un traguardo che dipenderà da come la cura dei dettagli, l’abnegazione, il modo di vivere la sua passione e la lucidità nell’inquadrare corse e rivali si tramuteranno in risultati nel corso di una stagione dove non gli mancheranno le occasioni per mettersi in mostra e fare esperienze rilevanti.

Proprio di questo, del suo modo d’intendere la professione e delle figure chiave che lo stanno accompagnando abbiamo parlato con lui in un recente incontro.

Samuele, questo è il primo anno in cui la Hagens funge da Devo Team della Jayco-AlUla: cosa è stato implementato? Che differenze ci sono rispetto all’anno scorso?

Sicuramente si è alzata la collaborazione tra i due ambienti. Abbiamo gli stessi materiali, condividiamo molto più staff e soprattutto ciò mi dà modo di partecipare a corse come la Coppi e Bartali senza dover ricorrere a contratti da stagista o soluzioni simili. In linea generale siamo dunque una Devo a tutti gli effetti e questo si traduce appunto in un certo tipo di esperienze”.

Con che mentalità e volontà stai vivendo quest'anno?

Voglio dimostrare che ho le capacità per fare il salto tra i grandi ma allo stesso tempo che posso mettermi a disposizione di questo ambiente in corse di un certo livello. Anche sacrificarsi per la squadra è una delle cose che serve per approdare tra i pro’”.

Oltre a dare una mano alla squadra quando ti sarà richiesto, hai messo in particolare delle corse nel mirino?

Per me la cosa più importante è cercare di fare più esperienza possibile con la squadra World Tour. Detto ciò, nel calendario di corse della Devo ci saranno quelle delle Ardenne che arriveranno tra poco e il Giro, evento da circoletto rosso dove vorrei confermare il risultato di tappa ottenuto nel 2024 (3° a Zocca, ndr) e cercare di farne altri. Vedremo però più avanti se puntare alle tappe oppure curare la classifica generale: a me sinceramente andrebbero bene entrambi gli obiettivi. In seguito, valuteremo anche assieme al c.t. Marino Amadori, se potrò avere la possibilità di fare alcune esperienze con la Nazionale: in quell’ottica Avenir e Coppa delle Nazioni possono essere appuntamenti importanti”.

Con Mattia Gaffuri e Marco Pinotti che tipo di percorso avete deciso di fare quest'anno? Su che aspetti vi siete concentrati e vi state concentrando per migliorare?

Mattia è stata per me una figura importantissima negli ultimi due anni perché mi ha dato modo di conoscere il mio corpo e i miei mezzi: con lui sono in buone mani e sento di essere sulla strada giusta. Marco invece è colui che dal World Tour getta uno sguardo su ciò che facciamo e controlla se tutto continua a girare bene, se i miei valori sono in costante crescita e se ci sono problemi. Lui ci lascia abbastanza liberi ma, essendo un ingegnere e sapendo il fatto suo, avere un occhio come il suo sulle tabelle è sempre una cosa che ti dà sicurezza. Rispetto all'anno scorso quello che è cambiato un po' a livello di preparazione è il fatto che polarizziamo molto meno e ci alleniamo in modo molto più piramidale cercando sempre di fare effort lunghi con intensità in zone Threshold, Sweet Spot, FTP. È una soluzione che sta dando i suoi risultati perché, nonostante faccia tanto volume a quelle intensità, il mio VO2 e la mia LT2 si stanno costantemente alzando e la mia esplosività sta migliorando. Questo è stato il cambio più “radicale” rispetto all'anno scorso”.

Axel Merckx e Luca Vergallito sono altre due figure chiave nel tuo percorso: che cosa ti hanno dato in questi anni?

Axel Merckx è il miglior team manager a livello Under 23 e io ne ho avuto una dimostrazione in prima persona. È una figura importantissima che sa come gestire una squadra di giovani, come cercare budget, come comportarsi a livello mentale coi ragazzi…è un team manager con la T maiuscola che è sempre in grado di motivarti e farti comprendere come, anche se siamo giovani, questo ormai sia il nostro lavoro e pertanto dobbiamo metterci testa, cuore e tutti noi stessi per cercare di farlo al meglio. È una persona che ti fa capire chiaramente che non tutti potranno arrivare nel World Tour ma che in ogni caso, anche se non ci arriverai e passerai a fare altro, dovrai sempre farlo con la consapevolezza di aver dato tutto.

Luca Vergallito è una persona che sa come farmi ridere ma, allo stesso tempo, come spronarmi e tenermi sulla retta via. In più è un corridore con un motore vero, un corridore che, nonostante tutti dicano “ma arriva dai rulli”, posso garantire che ha un buon occhio in gruppo, sa come muoversi e speriamo riesca a raccogliere buoni risultati quest'anno. In poco tempo è riuscito a fare tanta esperienza nel World Tour ed è una cosa, avere al fianco persone più esperte di me, che a me serve sempre. È davvero una persona fantastica e lo è anche Chiara Doni: tutti e due mi stanno aiutando tanto, sono come due fratelli per me. Quest’inverno abbiamo passato tanti giorni assieme nel Ponente ligure...gli auguro veramente il meglio”.

Qualche tempo fa hai dichiarato che il ciclismo è un'ossessione per te. Allo stesso tempo però questa è anche la tua passione. Dov’è il confine, se c'è, tra passione e ossessione?

Il confine è molto molto sottile ed è dovuto semplicemente al fatto che, a mio modo di vedere, quando una passione diventa anche il tuo lavoro e ti porta ad uscire con la pioggia, la neve, tre gradi o quaranta, la maniera corretta per viverlo al meglio è farlo diventare un'ossessione. Alla fine, siamo pagati (e bene) per fare questo lavoro, perciò, come mio padre si sveglia tutte le mattine alle 6 per andare a lavorare e mantenere la mia famiglia, è giusto che ogni volta che mi alzo dal letto io pensi solo al ciclismo. È la cosa che mi consente di mangiare, ciò per cui sono pagato quindi con “ossessione” non intendo qualcosa di negativo o che mi fa star male ma semplicemente il pensare, da quando mi sveglio a quando vado a letto, a come posso fare al meglio la mia professione. È una questione di rispetto verso ciò che faccio e verso coloro che riescono a pagarmi uno stipendio”.

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