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L'ORA DEL PASTO. PIPPO FALLARINI, NON POTEVI NON VOLERGLI BENE...
di Marco Pastonesi | 20/09/2024 | 08:17

Berretto alla belga, con la visiera indietro. Il viso ingrugnito nello sforzo, come se pedalasse anche con le sopracciglia, i denti, la mandibola. Braccia mani polsi dita guanti perfino l’orologio che impugnano, si aggrappano, serrano il manubrio come per strizzarlo. Maglia azzurra con scudetto tricolore cucito proprio al centro, braghe nere, calzini bianchi, scarpe imprigionate nelle gabbiette. Bici Frejus, numero 103, il tubo obliquo che sostiene, sopra, la borraccia e, sotto, la pompa. Mondiali di Frascati, anno 1955, salita. E’ il favorito, ma arriva settimo in una gara dominata dagli italiani: primo Ranucci, secondo Grassi e terzo Bruni. I compagni che non rispettano i compiti, lui che copre il boicottaggio spiegando di aver avuto i crampi.

C’è tutto Giuseppe Fallarini, detto Pippo e chiamato il Pippo, in quella foto, in quella corsa, anche in quel soprannome così allegro e scanzonato e pure un po’ sfortunato, almeno nella versione a fumetti di Walt Disney. E quel viso così rotondo seppure ingrugnito torna alla memoria in questi giorni iridati grazie al libro che Fabio Marzaglia ha dedicato al “corridore che faceva suonare le campane” (promosso da Cicloamatori Borgomanero, 130 pagine, 20 euro, con la prefazione di Gian Paolo Ormezzano). Ogni volta che Pippo vinceva, il parroco di Vaprio d’Agogna tirava la fune e faceva squillare a festa, tanto da essere convocato dal vescovo per contenere il proprio entusiasmo in un uso più moderato.

Pippo che sfuggì la suo destino di agricoltore, Pippo che tifava Combi-Rosetta-Calligaris… e che ammirava l’ultimo Piola, Pippo che prese in prestito la Fuchs del papà, Pippo che su una Fuchs, ma da passeggio, partecipò alla prima corsa, con gli zoccoli nella gabbiette dei pedali, Pippo che avrebbe pedalato su una bici vinta alla lotteria da un lontano cugino e passata attraverso il parroco, quello delle campane, Pippo che da quel momento si sarebbe impegnato ancora di più nel servire messa da chierichetto. Pippo che teneva a Casola, Pippo che s’innamorò di Bartali, Pippo che fu folgorato da Coppi. Pippo che nel 1954, dilettante, ebbe un anno alla Coppi.

Pippo che nel 1955 conquistò l’oro ai Giochi del Mediterraneo e fu settimo ai Mondiali, il tradimento dei compagni, la scusa dei crampi, niente campane a festa. Pippo professionista dal 1956 al 1964, Frejus Asborno Ignis Molteni e Cite, Giri d’Italia e Tour de France, una decina di vittorie, giornate di gloria in una vita da gregario.

Non si poteva non voler bene a Pippo. Quando, sorridendo, raccontava di essere stato maglia rosa virtuale al suo primo Giro d’Italia, quello del 1956, e sempre in quel Giro, un po’ meno sorridendo, resuscitava la tappa del Bondone, apocalittica, i tifosi che allungavano grappa nelle borracce per scaldare i corridori paralizzati dal gelo, lui in testa alla corsa, poi bloccato da un problema al cambio e a piedi quasi assiderato, infine raccolto da un camion-scopa, rigenerato da un bagno caldo, ma con l’eredità delle dita delle mani congelate per una decina di giorni.

Non si poteva non voler bene a Pippo. Quando, sorridendo, rispolverava quei giorni trionfali al Giro d’Europa, ancora nel 1956, due vittorie di tappa, e quando, un po’ meno sorridendo, precisava di non essere riuscito a godersi la vittoria finale, colpa di un impatto contro una Mercedes nella discesa del Brennero, nessuno dell’organizzazione aveva avvertito i corridori che il traffico non sarebbe stato completamente bloccato.

Non si poteva non voler bene a Pippo. Quando, sorridendo, confidava l’amore con Giuseppina e i chilometri avanti e indietro per andare a trovarla, e quando, un po’ meno sorridendo, rivelava dello scontro con un altro ciclista, di notte, il sangue, i soccorsi, la morte in agguato.

Non si poteva non voler bene a Pippo. Quando smise di correre e cominciò a lavorare da rappresentante, agente di commercio e assicuratore, frequentare raduni e ritrovi di vecchi corridori, e raccontare – sorridendo, ci mancherebbe - queste storie rotonde, novecentesche, un po’ sfortunate, altrimenti che Pippo sarebbe stato.

Marzaglia voleva bene a Pippo. E Pippo può andare fiero di questa sua storia in bianco e nero. Perché Pippo, aveva 89 anni, è morto un anno fa. Ma grazie a questo libro di Marzaglia non morirà mai, non morirà più, non morirà mai più.

 

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