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L'ORA DEL PASTO. LE VERITA' NASCOSTE DIETRO AD UNA BICICLETTA
di Marco Pastonesi | 07/01/2024 | 08:08

Il più ironico? Lo scrittore americano Mark Twain: “Andate in bici. Non ve ne pentirete mai, se riuscirete a sopravvivere”.

Il più onesto? L’eterno secondo Raymond Poulidor: “La mia grande fortuna è stata quella di avere un sacco di sfortuna”.

Il più pratico? L’inglese Sean Yates: “Nel ciclismo il morale alto viene dalle gambe buone”.

Bill Strickland ha racconto migliaia di sentenze, citazioni, battute, confidenze e aforismi in “The Quotable Cyclist” (Breakaway Books, 358 pagine, 20 dollari), un libro del 1997 che il mio amico (ed ex collega alla “Gazzetta dello Sport”) Sergio Ghisleni mi ha prestato per aiutarmi a scoprire, conoscere, ragionare, ricordare e, soprattutto, sorridere.

E’ così che ho scoperto della passione del Beatle John Lennon: “Da piccolo avevo un sogno: volevo possedere la mia bicicletta personale. Quando ho avuto la bici, devo essere stato il più felice ragazzo di Liverpool, forse del mondo. Vivevo per quella bici. La maggior parte dei ragazzi di notte lasciavano la bici in cortile. Io no. Io insistevo per portare la mia bici in casa e la prima notte l’ho tenuta accanto al mio letto. Il bello è che, nonostante per me fosse così importante, non ricordo che cosa infine le sia successo”. E’ così che ho conosciuto l’idea dello scrittore William Saroyan: “La bicicletta è la più nobile invenzione dell’umanità”. Ed è così che ho sorriso di un affrettato giudizio di Gino Bartali: “Coppi? Quello che abbiamo seguito al Giro del Piemonte? Quel corridore magro come un asparago? Non manca di coraggio. Glielo riconosco, ma credo che sia troppo fragile”.

Si va dalla strada (“Uno stradista senza resistenza è come una bicicletta senza ruote”, James E. Starrs in “The Noiseless Tenor”) alla mountain bike (“Tutti quelli che sopravvivono a una partenza meritano una medaglia. E’ pazzesca”, Matt Smith), dalle teorie (“Per prepararsi a una corsa non esiste nulla di meglio di un buon fagiano, un po’ di champagne e una donna”, Jacques Anquetil) alle pratiche (“Se freni, non vinci”, Mario Cipollini), dalle confessioni (“La mia più grande paura è che mi confondano con un altro corridore”, Claudio Chiappucci) alle regole (“Pulire una bici è come pulire un bagno. Se lo fai regolarmente, va bene ed è facile. Ma se aspetti, è un’esperienza veramente disgustosa”, Steve Gravenites).

Il tempo svela segreti (“Pensavo a quella mentre pedalavo sulla mia bicicletta”, Albert Einstein a proposito della teoria della relatività), regala ammissioni (“Fu la prima volta in carriera che arrivai con il gruppo degli ultimi. Vedevo il culo di corridori di cui non avevo mai visto la faccia”, Alex Zuelle dopo una tappaccia alla Vuelta del 1995), libera memorie (“La gente in Italia ancora ne parla. Gli ricorda quelli degli anni eroici, quando non c’era solo un corridore contro un altro, ma gareggiare su strade aperte, dove qualsiasi cosa può succedere e dove un uomo che tiene duro può infine emergere. Ci fu un sacco di malasorte quel giorno, e fu quello a far ricordare gente di grandi imprese nel ciclismo”, Andy Hampsten a proposito della tappa del Gavia al Giro d’Italia del 1988).

C’è spazio per l’Italia e gli italiani, dai giornali (“La meccanizzazione del ciclismo – lo sport del secolo -, insieme con la meravigliosa natura dell’uomo, trionfa sul tempo e sullo spazio”, “La Gazzetta dello Sport”) ai protagonisti (“La forza fisica di base è necessaria. Il corpo, le gambe e i muscoli devono esserci. Ma si sta in bici per ore e ore, così bisogna avere anche un po’ di immaginazione. Si ha bisogno di essere intelligenti e calmi. Si ha bisogno di controllo mentale. E’ l’autocontrollo”, Felice Gimondi).

Certe dichiarazioni, oggi, assumono diverse sfumature. Come per lo scienziato del doping Francesco Conconi (“Vincere una classica è come vincere alla lotteria. Ma con l’allenamento che prescrivo, il corridore ha due biglietti in tasca invece di uno solo”) e il suo allievo Michele Ferrari (“La maggior parte dei cicloamatori tende a pedalare sempre allo stesso modo: troppo duro la maggior parte dei giorni, troppo facile nei giorni duri”).

Insomma, come sostiene il giornalista Zapata Espinoza: “Le biciclette possono cambiare, ma il ciclismo è senza tempo”.

 

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