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L'ORA DEL PASTO. MARZAIOLI E LE STRADE PEGGIORI VERSO ROUBAIX
di Marco Pastonesi | 17/04/2022 | 08:09

La Parigi-Roubaix. Ma quella del 1961. Era domenica 9 aprile, i chilometri 263 e mezzo, alla partenza neppure il documentatissimo sito bikeraceinfo.com sa quanti corridori si schierarono, all’arrivo erano certamente 121. Primo Rik Van Looy. Indossava la maglia iridata. Un arcobalento nel fango. E anche per questo effetto ottico la sua fu una vittoria imperiale.

Gli italiani si difesero. I primi due, Tino Sabbadini, sedicesimo, e Pino Cerami, ventitreesimo, avevano scelto nazionalità francese e belga. Nello stesso gruppo e con lo stesso ritardo (1’05”), Noè Conti, lo zio dell’attuale Valerio, trentaquattresimo, due posizioni davanti a Raymond Poulidor. Più staccati Diego Ronchini quarantaduesimo a 2’27”, Walter Martin cinquantesimo a 3’02”, Ercole Baldini settantesimo a 5’57”, Rino Benedetti settantaquattresimo a 9’15”, Giacomo Fini ottantatreesimo a 9’15”, Carlo Azzini ottantasettesimo a 9’37” davanti a Tom Simpson, Pietro Musone ottantanovesimo a 9’52”, e Alberto Marzaioli novantaduesimo a 11’22”.

Marzaioli era campano di Maddaloni, il secondo di dieci figli, otto maschi e due femmine, aveva ventidue anni, e – neoprofessionista - indossava la maglia della San Pellegrino. Ne aveva viste di brutte, nella sua giovane vita: brutte come la prima bici (“Era una bici arrangiata, grigia, fatta con pezzi presi qua e là, insomma, quasi da corsa, con il manubrio all’ingiù e anche il cambio, però parecchio pesante”) e brutte come le ramanzine inflittegli dal suo direttore sportivo Gino Bartali (“Mi diceva che dovevo fare così e cosà, ma si dimenticava una cosa fondamentale, che io ero Marzaioli e non Bartali”). Ma non ne aveva mai viste di brutte come quella Parigi-Roubaix. Giunto al traguardo, Marzaioli scese dalla bici, si liberò gli occhi dal fango e poi – ad alta voce – commentò, in stretto dialetto napoletano: “Ma che schifezza di strade”.

Ad attenderlo nel velodromo c’erano quattro autorità del ciclismo italiano: Gino Bartali, che forse gli ripeté “avresti dovuto fare così e cosà”; Vincenzo Torriani, patron del Giro d’Italia; Rino Negri, inviato della “Gazzetta dello Sport”; e Adriano De Zan, telecronista della Rai. Con l’elenco dei corridori alla partenza in mano, i quattro facevano il conto degli italiani all’arrivo a vista. E così avvistarono e accolsero i sopravvissuti Giorgio Menini centoquinto a 14’47”, Franco Balmamion centosettimo a 16’27”, Bruno Mealli centodecimo con lo stesso ritardo e Angelo Conterno centodiciannovesimo e terzultimo a 23’07”.

Da quel giorno Marzaioli, ogni volta che si sarebbe parlato della Parigi-Roubaix, avrebbe spiegato che “da Parigi per arrivare a Roubaix esistono un sacco di strade” e sostenuto che “gli organizzatori scelgono sempre le peggiori”. Come dargli torto?

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