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L'ORA DEL PASTO. GINO E IL MATTATORE
di Marco Pastonesi | 30/03/2021 | 07:30

“E Coppi?”, lo provoca Vittorio Gassman. “Se dovesse vincere una corsa lui – gli ribatte, prontissimo, Gino Bartali – ricomincio a correre anch’io”. E poi precisa: “Ma di quelle importanti, non di quelle così”.

E’ il 25 febbraio 1959. Coppi gareggia per la Tricofilina-Coppi, Bartali dirige la San Pellegrino. Bartali viene invitato a una puntata del programma “Il Mattatore”, condotto da Gassman sulla Rai Tv. Camicia bianca, giacca e cravatta, entra in scena brontolando: “Basta con queste storie, è tutto sbagliato qua”. Gassman, maglietta sportiva e braghe corte, lo accoglie fra i sorrisi e con una battuta: “Da questa entrata credo che avrete capito, e un pochino anche dal viso, che si tratta di un illustre ignoto del ciclismo, Gino Bartali, o sei Tognazzi?”. Perché Ugo Tognazzi, nella trasmissione “Giringiro”, interpretava il popolarissimo Gregorio il gregario.

I due si siedono su un letto, amichevolmente, familiarmente, come se si conoscessero da sempre. La prima domanda è di Hélène Remy, attrice francese (“Cinque poveri in automobile”, “Mariti in città”, più tardi anche “Borsalino”), che chiede di Bobet: Bartali è diplomatico, risponde che “Bobet è stato ed è ancora un grande campione, basta vedere quello che ha fatto l’anno scorso al Campionato del mondo, è arrivato secondo dietro a Baldini”. La seconda è di Gassman, a proposito del prossimo Mondiale: e Bartali si lamenta, “pianura!”, “io farei correre i dirigenti che hanno approvato il percorso” “e quelli che lo approvano da fuori”, “non è possibile”, “troppo facile”. La terza domanda, inevitabile, su Coppi. E pensare che pochi mesi più tardi Bartali e Coppi avrebbero stupito il mondo del ciclismo annunciando di tornare insieme, vent’anni dopo la stagione trascorsa nella Legnano, nella stessa squadra.

Il duetto fra i mattatori Gassman e Bartali, reperibile su YouTube, è anche su RaiPlay. Gassman ha 36 anni, Bartali 44. Gassman è il padrone di casa, Bartali l’ospite d’onore. Scherzano, sorridono, fraternizzano. Ma quando Gassman mette un braccio intorno alle spalle di Bartali, Bartali – per un attimo – si ritrae. Ha il senso del pudore.

Gassman amava il ciclismo, amava tutto lo sport. Il suo forte era stato il basket. “A scuola, il liceo Tasso, dove i miei studi proseguivano con buon profitto – scrisse nell’autobiografia “Un grande avvenire dietro le spalle” (Longanesi, 1981) – cominciai ad eccellere nelle partitelle di pallacanestro, e penso che le compagnette di classe avessero cominciato ad adocchiarmi con un certo interesse”. Avrebbe giocato nella Parioli, due campionati in serie A, e anche nella Nazionale universitaria. Fra i suoi compagni Fulvio Ragnini, soprannominato “il papà”, “dotato di uno scatto e una furbizia prodigiose”, “marcava ogni volta l’attaccante più pericoloso delle squadre avversarie. Prima di ogni partita – casalinga beninteso – abbordava negli spogliatoi il suo uomo e gli diceva: ‘Tu oggi non tocchi palla’. Pausa. Poi: ‘Sennò ti do una ginocchiata nei coglioni’”.

Nei ricordi di Gassman c’era anche Bartali. Quando raccontava il suo sonnambulismo: “Uscivo dal letto, dalla camera, girellavo per la casa, spesso mi venivano a ripescare in terrazzo o per le scale”, “Mia madre istituì una specie di radar notturno fra me e lei: teneva aperta la sua camera da letto, avvertiva subito quando il mio deambulare cominciava”, “Va tutto bene? Io bofonchiavo risposte strutturalmente pertinenti, inseguendo chissà quale remota fantasia: la declinazione di rosa rosae, il monopattino, Bartali, i bagni dell’estate prossima...”. E poi esattamente il 10 luglio 1940, quando “io e Luigi stavamo giocando in una pausa di studio. Era ancora una volta (fu l’ultima, ed era tempo, avevamo diciassette anni) il nostro gioco preferito, il refrain simbolico del circuito. Nel momento in cui il bottone di madreperla che rappresentava Gino Bartali tagliò il traguardo battendo in volata Verwaecke e Camusso, i programmi della radio si interruppero di colpi; si udirono squilli e rombi di folla, la voce di Mussolini tuonò con cadenza solenne: ‘L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria’. L’Italia era entrata in guerra”.

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