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LA RIFORMA CHE VERRA' E CHE NON CONVINCE
di Paolo Broggi | 31/08/2018 | 07:52

Dal 2005, quando è nato l’allora ProTour c’è una parola magica che aleggia nell’aria: riforma. Indicata come panacea di tutti i mali da chi la appoggia, temuta come la massima disgrazia da chi la osteggia, subita in genere da tutti gli altri.
Più volte annunciata dai vari presidenti dell’Uci che si sono succeduti, una riforma profonda e concreta finora non ha mai visto la luce.
Adesso all’orizzonte ne spunta una nuova versione, destinata ad entrare in vigore nel 2020. Ne hanno discusso finora tra loro gli stakeholders, ovvero i rappresentanti delle parti interessate - sono già stati più di 25 gli incontri ufficiali a vari livelli, tra il novembre 2017 e il giugno 2018 -, a fine settembre ne discuterà il Comitato Direttivo dell’Uci, ma dubbi e inquietudini sono su piatto e rischiano di pesare in maniera importante.

PERCHÉ LA RIFORMA. Una riforma serve perché, sostengono i promotori, quella precedente, datata 2016, non ha raggiunto gli obiettivi. Serve per fare del ciclismo professionistico uno degli sport più importanti, per farlo crescere in tutto il mondo, per avere un sistema semplice e comprensibile (tenete bene a mente questi punti, tra poco ci torneremo), per incoraggiare nuovi investimenti in tutto il mondo, per assicurare una miglior audience Tv...

OBIETTIVI. Alle squadre si vuol garantire stabilità, favorire gli investimenti, sviluppare nuove forme di sponsorizzazione, mondializzare l’audience tv delle corse, stabilire un calendario razionale delle corse stesse.
Per i corridori si vuol garantire la stabilità o la crescita dei salari, il loro pagamento e le condizioni di lavoro all’interno di ogni squadra, garantire la massima sicurezza in corsa, ottimizzare la distribuzione dei premi in considerazione degli oneri fiscali differenti nei vari Paesi.
Agli organizzatori la Riforma vuole offrire stabilità, aumentare i proventi dei diritti televisivi, mondializzare l’audience tv delle corse, controllare l’evoluzione dei costi, assicurare un buon ivello di partecipazione alle corse, favorire comportamenti eco-responsabili.

TRE CATEGORIE. Tre sono e tre resteranno anche per la nuova riforma le catorie per le squadre: WorldTour, ProTour e Continental.
Le prime dovranno avere tra 25 e 30 corridori, disporre di un budget minimo di 12 milioni di euro e continuare a soddisfare le richieste dei codici etico, amministrativo, organizzativo e sportivo.
Gli Uci ProTeams (le attuali Professional) dovranno avere tra 20 e 30 corridori, soddisfare gli stessi criteri della categoria precedente, ma nel progetto non viene indicato un budget minimo, anche se i costi sono previsti in crescita, se non altro per l’obbligo di avere almeno 20 corridori (per fare un esempio, nessun team italiano al momento li ha in organico).
Le squadre di WorldTour e ProTour avranno l’obbligo di contribuire allo sviluppo del ciclismo. Come? Il progetto propone cinque strade: 1. Sostegno ad una formazione femminile; 2. Sostegno a una formazione Continental; 3. Sostegno a una o più squadre di club nazionali (le squadre dilettantistiche); 4. Creazione di una squadra-vivaio (stesso nome, stessa maglia, possibilità di avere sponsor minori differenti e di interscambio di corridori dalla formazione maggiore a quella minore e viceversa); 5. Sostegno a corse riservate ad Under 23 e/o Juniores.
La terza categoria è rappresentata dalle formazioni Continental con un organico di 10-16 corridori ma continua a nn essere previsto l’obbligo di aderire al passaporto biologico.

LICENZE WORLDTOUR. A fine 2019 è previsto il rilascio di 15 licenze in base alle classifiche Uci degli ultimi tre anni: dalla 1a alla 5a in classifica, licenza di 4 anni; dalla 6a alla 10 di tre anni; dalla 11a alla 15a di 2 anni. Ogni anno dispari scatterà un estensione delle licenze per i 10 team più forti (due anni supplementari per le prime 5, un anno dalla 6a alla 10a).

GRANDI GIRI. Un posto è garantito alle 15 formazioni del WorldTour, poi ci saranno le cinque migliori formazioni del ProTour secondo le classifiche aggiornate due mesi prima di ogni grande giro, quindi due wildcars a disposizione di ogni organizzatore.

PROTOUR. E qui, cari amici, casca l’asino. Una volta ancora, sulle squadre della seconda divisione. Alle quali viene dedicata una misera paginetta sulle 40 e più del progetto, peraltro senza dare alcuna risposta significativa.
Non ci sono infatti indicazioni sul calendario: sappiamo che dovrebbe comprendere un certo numero di prove che attualmente sono di categoria .HC e .1, ma non viene detto quante.
E soprattutto non viene detto nulla riguardo ai punteggi, che sono la base fondamentale di un sistema che si basa - almeno in parte - sul merito sportivo. Il problema si chiarisce con un esempio banale: se una delle nostre squadre si guadagna il diritto di correre il Giro d’Italia, i punti che conquisterà varranno anche per il ProTour? E dovrà avere una seconda squadra di alto livello per andare a disputare le prove che andranno in contemporanea? Se la risposta è sì, i costi lieviteranno in maniera esorbitante; se la risposta è no, significa che durante i grandi giri non si disputeranno prove di ProTour?
Altrimenti sarebbe impossibile garantire a tutte le squadre le stesse possibilità di conquistare punti per puntare ai primi posti della classifica per gli appuntamenti successivi.

CALENDARIO. Una nota dolente, da sempre. L’unica osservazione che viene ripetuta come un mantra è «bisogna evitare le sovrapposizioni». Cosa che dal 2005 ad oggi si è verificata per una sola corsa al mondo - il Tour de France - e che è matematicamente impossibile negli altri periodi dell’anno, vuoi per le scelte degli organizzatori (se dire al patron del Giro di California di organizzare la sua gara dal 20 al 28 giugno invece che dal 10 al 20 maggio si metterà sicuramente a ridere, così come agli organizzatori del Tour of Britain di spostarsi di un mese ed evitare la concomitanza con la Vuelta non interessa), vuoi per l'affollamento stesso del calendario.

ECONOMIA. Il ciclismo è un gigante dai piedi d’argila: sport popolarissimo ma con un giro d’affari stimato in “soli” 700 milioni di euro.
La riforma punta alla creazione di una nuova piattaforma digitale, che permetta agli appassionati di usufruire di una ricca serie di dati e di supporti, informazioni, video, reportage, foto e quant’altro per una piattaforma inizialmente basata sull’investimento di risorse da parte di organizzatori, squadre e UCI. Il tutto dedicato prima di tutto ai Grandi Giri e alle Classiche monumento e poi da espandere via via alle altre corse.
Infine, trova spazio nel progetto l’altra formula magica che ci accompagna da tempo: diritti televisivi.
Con una formulazione della proposta piuttosto inusuale: riflessione sulla vendita a pacchetto dei diritti televisivi appartenenti agli organizzatori su base volontaria.
Temiamo che in politichese voglia dire: non se ne parla nemmeno...

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