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L'ORA DEL PASTO. IL TORNANTE CHE HA FATTO LA STORIA
di Marco Pastonesi | 10/08/2018 | 07:00

L’Abetone. Dalla Lima, versante toscano. Diciassette chilometri di salita appenninica: tra faggi e querce, poi pini e abeti, tra fontane e casolari, tra storia e ciclismo. Il tredicesimo tornante – al settimo chilometro della salita - svolta a sinistra, alla sua destra è protetto, o forse minacciato, da un muraglione in pietre, dall’altra parte si affaccia sulla valle e sui boschi, tira al 10 per cento, introduce a un rettilineo di un centinaio di metri.

Il 29 maggio 1940, in una giornata primaverile di calendario e invernale di cielo, in una giornata che sapeva di Giro d’Italia e forse già di Seconda guerra mondiale, “un ragazzo segaligno – la descrizione aurea di Orio Vergani sul “Corriere della sera” – magro come un osso di prosciutto di montagna” s’impennò, decollò, fuggì. Ed entrò nella storia. Fausto Coppi.

Luciano Andreotti è tornato a quel giorno, a quella tappa, e anche su quella salita, su quel tornante, “Quel tredicesimo tornante che ha cambiato il ciclismo” (144 pagine, disponibile su Amazon Libri in versione digitale o cartacea). Lo ha fatto affidandosi a chi ne ha già scritto, ma anche ai propri pensieri, alla propria immaginazione, alla sua passione per la bicicletta e per il ciclismo, alla propria devozione per Bartali e Coppi, al proprio attaccamento per quella terra e quella salita. La ricostruzione comincia con il cane che attraversò la strada durante la seconda tappa e provocò la caduta di Bartali, continua con Bartali che lottava per restare in corsa, con Enrico Mollo che si impadronì della maglia rosa, con Fausto Coppi che da gregario (il più giovane: aveva vent’anni) stava guadagnandosi, se non ancora i gradi di capitano, la credibilità e la gloria di corridore.

Il via alle undici e mezzo a Firenze, dall’argine occidentale dell’Arno, la via Pratese percorsa sulla banchina come se la corsa si disputasse nelle Fiandre, poi le Piastre, lo scatto di Ezio Cecchi, “lo scopino di Monsummano”, e la risposta di Rimoldi, Generati, Doccini e Godio, che cedettero, poi l’alta Valle del Reno (che “reca le incognite di chi va incontro a una trappola naturale”), poi il Monte Oppio (“Tre chilometri circa, con pendenze a tratti impegnative”), l’incidente meccanico che a Pontepetri colpì Bartali (“Un guasto insolito alla calotta destra del movimento centrale”), Coppi che non lo aspettò, e da questo momento la corsa che si trasformò in una battaglia. Epica. Coppi lanciato verso la vittoria e la maglia rosa, Bartali teso nell’inseguimento (e lo avrebbe fatto per tutta la vita), e gli altri, tutti, anche Vergani, quasi increduli, davanti a tanto spettacolo.

Fu allora – scriveva Orio Vergani (e Andreotti avrebbe fatto bene a riprendere e citare questo capolavoro di cronaca e poesia) – sotto la pioggia che veniva giù mescolata alla grandine, che io vidi venire al mondo Coppi… Vedevo qualcosa di nuovo: aquila, rondine, alcione, non saprei come dire, che sotto alla frusta della pioggia e al tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le gambe che bilanciavano nelle curve, le ginocchia magre che giravano implacabili, come ignorando la fatica, volava, letteralmente volava su per le dure scale del monte, fra il silenzio della folla che non sapeva chi fosse e come chiamarlo”.

Ed era solo l’inizio. Poi l’Abetone, poi il Barigazzo, poi la discesa e la pianura fino a Modena. Centottantaquattro chilometri che non finiranno mai.

Andreotti si avvicina alla storia del ciclismo da appassionato, da amatore. Ammette: “Non so dire se questo racconto della Firenze-Modena del 1940 rifletta esattamente la verità”. Spiega: “Ho reperito dati e notizie sulla tappa, soprattutto di tipo cronometrico, cercando poi di interpretarli nella maniera il più possibile coerente con le logiche e le dinamiche tattiche di una gara ciclistica”. Aggiunge: “Ho preso in considerazione la versione dei fatti restituitaci dallo stesso Bartali, trovandovi obiettivi motivi per ritenerla fondata”. Ha il merito di aver ricordato un Giro storico, esplorato una tappa decisiva, infine concentrato su un tornante a sinistra, che tira al 10 per cento e introduce nella letteratura.

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