Marnati è un nome e un marchio che appartiene, o meglio, apparteneva oramai, al novero dei meccanici, costruttori, saldatori e montatori in proprio, come molti “ciclisti” di un passato più o meno recente, specialmente milanese-lombardo, anche se gli estimatori del marchio vantano pure le più diverse provenienze e origini.
E’ una storia coniugabile con verbi al passato, prossimo per Daniele e, diciamo remoto, per il padre Umberto.
E’ la rappresentazione di una continuità familiare, nel segno della bicicletta, quella di Daniele Marnati, meccanico con bottega a Milano, zona Fiera, in Via Melchiorre Delfico 26, nei pressi del ponte della Ghisolfa, un riferimento per i milanesi. Bottega, nell’accezione migliore del termine, non negozio in quanto, nello spazio ristretto con ingresso da una porta a vetri, in una via di scarso traffico, non ci sono ammiccanti vetrine con “fuoriserie” in bella esposizione ma il vecchio, attrezzato, banco di lavoro e, alle pareti, sono appesi telai, cerchi, ruote e altri attrezzi mischiati a quadri con foto, targhe, decalcomanie, loghi ciclistici di varie epoche e altro ancora che scandiscono la lunga storia della bottega Marnati.
Per parlare di Daniele Marnati, nato a Milano nel 1953, bisogna comunque partire da Umberto Marnati, suo padre. Originario di Bareggio, paese nei pressi di Milano, subito nel secondo dopoguerra, con l’attestato di “attrezzista meccanico”, va a lavorare alla Legnano, a Milano.
Si rivela ben presto un abile telaista e meccanico formando con Umberto “Lupo” Mascheroni un’affiatatissima coppia di fatto che segue la formazione verde-oliva guidata sull’ammiraglia dal “santone” Eberardo Pavesi, per tutti l’avocatt a motivo della sciolta parlantina fra una tirata di pipa e l’altra. Era il dialetto milanese la lingua ufficiale dell’ammiraglia Legnano. E i due, “Berto” (ma Umberto Mascheroni, nativo di Cusano Milanino, era per tutti “Lupo” per il suo inestinguibile appetito, chiamiamola pure fame, dissimulata da una magrezza quasi da inappetente, retaggio dei tempi di guerra) hanno sovente accompagnato le formazioni tricolori della nazionale guidata da Alfredo Binda al Tour de France e ai Mondiali. Dopo la Legnano Umberto Marnati ha operato per la Bianchi e la Salvarani aprendo, nel frattempo, l’attività in proprio di via Delfico, a Milano. All’inizio degli anni 1970 lo affianca in bottega il figlio Daniele, sempre in mezzo alle biciclette fin dall’infanzia, anche se la sua tentata carriera agonistica, durata poco più di sei anni, l’ha indotto a dedicarsi a tempo pieno, senza molti rimpianti per gli esigui risultati ottenuti da pedalatore, a esercitare il mestiere di meccanico ciclista. Una spinta, quasi decisiva, in questo senso gliela ha fornita il ferrarese Gilberto Vendemiati, buon professionista e poi massaggiatore nella Salvarani, amico di suo padre, che vedendolo pedalare gli consigliò di non insistere troppo...
Sulle orme paterne Daniele segue poi le corse con le squadre Bianchi, Flandria, Scic, San Giacomo, Sammontana e Vivì Murella. Poco oltre la metà degli anni 1980 abbandona la vita girovaga al seguito delle corse e si dedica, in esclusiva, alla bottega. Salda tubi per telai, monta biciclette con il suo marchio per una clientela tradizionale fedele alla manualità artigianale, ripara, aggiusta lavorando e collaborando nel circuito collegato a operatori di nomi e tradizioni del capoluogo lombardo e del suo territorio. La manualità e la competenza artigianali sono i tratti distintivi della sua attività, condotta lontano dalle luci della ribalta, nel segno di una tradizione e di una propensione particolari per le due ruote che, fra padre e figlio, assomma circa settant’anni di lavoro e passione.
Una storia, minima storia, che si è conclusa all’inizio di quest’anno quando la Cicli Marnati ha chiuso l’attività, ha “tirato giù la clèr” (la saracinesca), per dirla alla milanese e Daniele Marnati ha appeso la “avajana” al chiodo. Nel dialetto meneghino la “avajana” è il largo camice di lavoro, abbottonato sul davanti e che arriva alle ginocchia, in varie tonalità di blu, usato solitamente dai meccanici.
Ora Daniele si gode il riposo, passeggia in bicicletta e va trovare sovente i suoi, oramai ex, colleghi e parlano soprattutto di biciclette e pedalate, come costume e abitudine del buon tempo che fu nelle botteghe di ciclista in varie parti d’Italia.
Giuseppe Figini