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L'ORA DEL PASTO. IL BOOGIE WOOGIE DI BELLETTA
di Marco Pastonesi | 24/02/2019 | 07:39

E’ già stato campione italiano. Non in linea e neanche a cronometro, non nella mountain bike e neanche nel ciclocross, non nella velocità e neanche nell’inseguimento. Campione italiano di boogie woogie. Senza maglia tricolore.

Pier Elis Belletta va spiegato fin dal nome, anzi, dai nomi: “Pier da Piero, un nonno, cui mio padre ha tolto la o finale. Elis da Eli, l’altro nonno, cui mia madre ha aggiunto la s finale”. Logico che fantasia, allegria e ballo, cominciato proprio togliendo e aggiungendo vocali e consonanti, siano diventati le sue doti e caratteristiche. Poi va spiegato anche con il luogo di nascita: “Magenta, sul percorso della Milano-Torino, patria di Andrea Noè e adesso anche di Matteo Moschetti, Stefano Oldani e Andrea Piccolo, con cui ogni tanto ci si allena”. Con la famiglia: “Papà lavorava in un’azienda di scatolame, mamma è commercialista, un fratello e una sorella minori”. Con le passioni: “Ereditate, prima quella per il ballo, poi anche quella per il ciclismo, da mio padre”. Poi con le biciclette: “La prima, una Bianchi verde acqua. Ci saltai su, feci 50-60 chilometri, fui preso da una crisi di fame che, se non ci fosse stato mio padre, non sarei più tornato a casa”. E con le corse: “La prima squadra, quella del Busto Garolfo. La prima maglia, blu e nera. Il primo maestro, Marino Fusar Poli. La prima corsa, non ricordo più dove, ma ricordo benissimo come: vinsi io, peccato che mancasse ancora un giro, e finii diciottesimo. La prima vittoria, sempre in quella stagione, esordiente primo anno, nel Varesotto, andammo via su uno strappo, vinsi la volata, e per fortuna che stavolta era il traguardo giusto”.

“Bellez” – i compagni lo chiamano così, forse confusi da quei Pier e Elis – balla ancora, almeno fra ciclismo e studi: “Prima al liceo, scienze applicate a Milano, significa lo scientifico, con più matematica, fisica, chimica e biologia, ma senza latino. Poi all’università, Economia a Novara, cinque esami dati il primo anno, tre – per ora – il secondo, un quarto esame rifiutato, 18, troppo poco, tanto più che me lo meritavo perché avevo studiato si fa per dire”. Strada facendo, una tesina di argomento ciclistico: “Su Gino Bartali e Fausto Coppi come appartenenti a due diverse forze politiche, che poi non è mica andata così, Bartali salvava gli ebrei e Coppi non era di sinistra”. Insomma, ballando fra cifre e chilometri, si può fare: “Però bisogna impegnarsi, sia ciclismo sia università richiedono tempo e concentrazione”. I genitori, a dire la verità, preferirebbero più impegno per l’università, lui, a dire tutta la verità, per il ciclismo.

E allora, ciclismo: “Il ballo è poco tempo e grande intensità, il ciclismo è molto tempo e intensità variabile”. E allora, ciclismo: “Più le corse sono lunghe, meglio è. Più numerose sono le tappe, meglio è. Dicono che io sia un diesel, tant’è che soffro i cambi di ritmo”. E allora, ciclismo: in una parola, la salita è “fatica”, la discesa “attenzione”, la volata “rischio”, il rifornimento “salvezza”, la foratura “sfortuna”, la caduta “scoraggiamento”, la fuga “calma, tranquillità, almeno interiore”, l’inseguimento “piacere”. E allora, ciclismo: ai meno 5 il pensiero è “stare davanti”, all’ultimo chilometro “dare tutto”, all’ultimo metro “non è ancora finita”, al traguardo “spingere fino alla fine”, dopo il traguardo “grazie”. “Bellez” spiega: “A mio modo, sono religioso. Non vado in chiesa, ma ci credo. Ogni giorno saluto e ringrazio il sole, è un esercizio yoga, lo saluto e lo ringrazio anche quando ci sono le nuvole e il sole non si vede”. Come ieri, dorsale 261 con il Team Namedsport-Rocket, in Turchia, al Tour of Antalya, la terza delle quattro tappe: acqua, freddo e nebbia che pareva di essere a Capo Nord. “Il mio sogno è il Tour de France. Non partecipare, ma vincerlo. Se chiudo gli occhi, mi vedo in maglia gialla. Se li riapro, mi scontro con la realtà, che è dura, ma è bella”. E fra un 110 e lode e una vittoria, senza esagerare, anche non al Tour de France? “Bellez” ha paura di dare un dispiacere ai suoi genitori. E non risponde. Ma sorride. Un sorriso – se solo fosse possibile – boogie woogie.



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