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RICORDIAMO MARCO, PERPETUIAMO LA SUA MEMORIA CICLISTICA
di Fiorenzo Alessi | 14/02/2019 | 07:01

Caro Direttore,
se almeno fino a pochi anni fa, il 14 Febbraio veniva ricordato pressochè esclusivamente quale la "festa degli innamorati", da qualche tempo questa data, quanto meno per gli appassionati di Ciclismo, ... incombe come l'anniversario della morte di Marco Pantani. Può dirsi che ad un giorno riservato ai sentimenti e all'amore, se ne è sostituito uno in cui predomina un senso di compassionevole tristezza e di struggente nostalgia. Per la misera fine di un uomo, ancora giovane, tragicamente scomparso, e per le indimenticabili e ineguagliabili gesta atletiche di un Ciclista formidabile e al contempo spettacolare. Ricordo a me stesso una "ballata" degli anni 70, in qualche modo altrettanto bella e piacevolmente nostalgica, che cantava di un Dio che era morto: non credo proprio sia blasfemo trasmutarla, per chi ammirava il Pirata, in "Marco è morto". Questa, purtroppo, è l'unica ed inconfutabile verità.

Tutt'altro paio di maniche sembrano, ancora oggi, il perchè e da chi ci sia stato portato via. In quest'ottica, si sostiene che la Giustizia non abbia correttamente e adeguatamente fatto il proprio corso. Quella che, nella teologia cattolica, è ritenuta una delle quattro virtù cardinali, e, più prosaicamente, una fascinosa dea bendata con in mano la bilancia a determinare l'esito della contesa sottoposta al suo vaglio, nel caso di Marco Pantani avrebbe avuto condotte tutt'altro che virtuose. Insomma, più... donna allegra che severa ed attenta regolatrice del retto funzionamento e dell'osservanza della legge. E all'approssimarsi della "ricorrenza" della scomparsa del magnifico scalatore venuto dal mare, apparentemente ineluttabile proprio come la morte, ecco arrivare una ennesima richiesta alla competente Autorità Giudiziaria di "riaprire il caso Pantani", adducendo la scoperta di nuovi elementi d'indagine che ne sosterrebbero sia l'ammissibilità che la fondatezza.

Ancora una volta, come a più riprese ancorchè vanamente si è sostenuto, Marco non sarebbe morto nei termini statuiti conformemente da plurime statuizioni giudiziali, ma sarebbe stato vittima di omicidio. Qualcuno, ancora ignoto dopo 15 anni e nell'ambito di un complotto dai contorni indefiniti, avrebbe ammazzato Marco.

Fin dal primo momento (e ben comprensibilmente sul piano umano!) schierata risolutamente su questa linea c’è mamma Tonina. Una donna combattiva e che parla guardandoti negli occhi, determinata a credere pressochè solo a ciò che il cuore le dice, sempre madre inconsolabile di un figlio morto. E qui, per rispetto e umana vicinanza, null'altro reputo di potere e dovere aggiungere.

Razionalmente, per la professione che svolgo e per il luogo ove la esercito, quella Rimini dove quel 14 Febbraio del 2004... tutto si è compiuto, anche in ragione della conoscenza di coloro che hanno giudiziariamente "gestito" il tragico occorso - dei galantuomini, come sinteticamente ma efficacemente si diceva una volta - ho la precisa convinzione che non solo si sia ricercata fino in fondo la verità, ma che si sia compiutamente adempiuto ad ogni obbligo che il proprio ruolo e le funzioni istituzionali imponevano. Le conclusioni, che tutti conosciamo e che ben possono essere condivise o meno, e altrettanto legittimamente criticate in forme e termini adeguati, conducono a un evento fatale non cagionato da terzi. Per Marco non si è trattato di un omicidio. Il delitto vero, e grave, sarebbe quello di non perpetuarne la memoria ciclistica, serbando nel cuore infondate e suggestive convinzioni e non, invece, unicamente la bellezza delle sue imprese sportive e le emozioni forti, e a volte strappalacrime, che ci ha regalato nella sua pur breve vita.
Come sempre, cordialmente
 

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