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LE STORIE DEL FIGIO. Alberto Della Torre, il principe di Busto
dalla Redazione | 01/12/2015 | 07:53

E’ il titolare di una particolare carriera ciclistica Alberto Della Torre, nato a Busto Arsizio, in provincia di Varese, l’8 settembre 1945. Una carriera che è divisibile in tre distinte fasi. La prima è quella del corridore su strada, la seconda quella dell’attività su pista e la terza nel settore organizzativo del ciclismo.

Andiamo con ordine però. Come tanti giovani dell’epoca inizia a correre e fra i dilettanti, curato dall’amico Alessandro Pariani che lo seguirà per tutta la carriera, indossa le maglie del Velo Club Tre Ponti e dell’Unione Ciclistica Bustese. Ottiene non molte vittorie ma alcune di queste sono in classiche per la categoria come la Coppa Del Grande, il Trofeo Caduti Medesi, la Milano-Bologna e il Piccolo Giro di Lombardia, la classica di fine stagione della Bruzzanese-Brill che, allora, partiva e arrivava a Milano, dopo avere scalato il Ghisallo E per molti dilettanti la gara rappresentava una sorta di attestato di specifico valore, una certificazione di qualità, il passaporto che consentiva il passaggio nel professionismo. Qui si ritrovavano i direttori sportivi storici delle maggiori squadre professionistiche per osservare e firmare il contratto professionistico con quelli giudicati maggiormente meritevoli.

Passaggio che avviene nel 1967 indossando la maglia di uno squadrone come quello della toscana Filotex, in ammiraglia Valdemaro Bartolozzi, capitano Franco Bitossi e corridori del calibro di Mino Bariviera, Ugo Colombo di San Giorgio su Legnano, vicino di casa e amico di Della Torre, lo svizzero Rolf Maurer e Marcello Mugnaini. Gianni Mura, inviato della Gazzetta dello Sport, con la classe che gli è propria, nel 1968 rappresenta il giovane Alberto Della Torre con un piacevolissimo “ritratto” riproposto nel libro “Non gioco più, me ne vado” edito da Il Saggiatore nel 2013. Lì ricorda che la prima corsa del bustocco finisce, invero con poca gloria, in un fosso e, rifacendosi alle parole di uno che - senza citarlo se non con un generico termine di conducente di una vettura al seguito (quella dove viaggiava Gianni Mura) lo conosceva bene, fin da bambino. L’innominato di Gianni Mura è Ezio Graziani, uno dei conducenti di lungo corso della Gazzetta dello Sport dell’epoca, con dapprima Manavola e quindi Ersilio Cantoni. Era un omone, alto e grosso, con un vocione reboante e possente che amava anche giocare la parte dell’orso. Era di Olgiate Olona, centro attaccato a Busto Arsizio. Graziani definiva Della Torre “fioeu d’un sciur” (figlio di un ricco) e a motivo di questo diceva che non poteva essere un corridore vero.  Per cercare di tenere fede al suo cliché di burbero e supercritico in ogni circostanza, non lesinava critiche e giudizi, anche se palesemente ingenerosi, nei confronti di Alberto Della Torre. Graziani cercava così di sviare e dissimulare, non riuscendovi peraltro, il suo “tifo di dentro” che considerava un cedimento al sentimentale, come ha bene rappresentato e colto, da par suo, Gianni Mura. Alberto Della Torre si confida con Mura e gli racconta della sua famiglia, della mamma Celestina che quando partiva per una corsa gli raccomandava sempre d’andare piano, mentre il papà Renzo, tifoso di ciclismo, dapprima titolare di un avviato bar trattoria e poi mediatore (da qui la definizione di “sciur”) lo seguiva alle corse, anche se gli rimproverava di non aiutarlo molto nei momenti di punta del lavoro all’epoca della trattoria. E qui un inciso: il soprannome di “polpetta” con il quale era definito nel gruppo Filotex era stato preceduto da quello di copertina, cuertina in lombardo che resiste tuttora nella sua cerchia d’amici. Alberto Della Torre, per evitare di servire fra i tavoli, rientrava, grondante di sudore, dall’allenamento e, accompagnato dal sentimento di mamma Celestina che lo definiva “por nan” (povero piccolino) difendendolo dalle occhiatacce del papà, si stendeva sul divano di casa coprendosi le gambe con una copertina. “Amici” – virgolette d’obbligo in questo caso – raccontano però che talvolta il sudore era il frutto di una piccola immersione “ad hoc” in una fontana vicina a casa, a Gallarate precisamente, quando, talvolta, anzi sovente aggiungono gli “amici”, preferiva all’allenamento lungo programmato un tragitto molto più ridotto, e di molto, con altre prospettive rispetto a quelle di pedalare per chilometri e chilometri…. Quella della copertina è un’abitudine che conserva ancora oggi quando, pare addirittura con maggiore frequenza, voglia e intensità d’allora, pedala verso il Lago Maggiore e i rilievi che gli fanno da corona, sempre in accanita contesa con i suoi “amici” fra i quali Lino Ferrario, Gianni Bottigelli, Mario Broglia e Carlo Gallazzi “Galasin”, ottimo dilettante, professionista per una sola stagione. Torniamo al Della Torre professionista con cinque successi: il Giro del Ticino, a Lugano, nel 1968 e, nel medesimo anno, una classica come il Giro del Veneto, nel 1969 è primo al G.P. Industria e Commercio a Prato, in casa Filotex, la terza tappa del giro di Catalogna mentre nel 1970 s’impone nel Giro dei 4 Cantoni, in Svizzera, battendo un campione del calibro del tedesco Rudy Altig. Nel 1972 termina il felice periodo Filotex, dove ha incrociato un suo grande amico, Italo Zilioli, che ritroverà, in altre vesti, dopo qualche anno e, in pratica, il periodo della strada. Sempre certi “amici” parlano di un “exploit” misconosciuto di Della Torre che, disperso in retrovia anche per un incidente meccanico, lungo deserte, assolate e altimetricamente molto tormentate strade della Basilicata in una tappa del Giro. Insieme a un paio di colleghi di sventura, sfidando la legge dell’impenetrabilità dei corpi, trovano un provvidenziale aiuto, corridori e biciclette, su un’ansimante ma fortunatamente pietosa cinquecento di un contadino per qualche tratto ed essere così in grado di raggiungere il traguardo in tempo massimo. Così sussurrano gli “amici” ma non ci sono le prove. E poi, pure se ci fosse stata infrazione sportiva, questa è oramai abbondantemente in prescrizione.

Il nostro comprende che la strada è sempre più in salita e pensa bene di passare alla pista, nella specialità del mezzofondo. Il gruppo degli “stayer” non spalanca certo le porte e le braccia a un nuovo arrivato dalla strada e che cerca di mangiare il loro pane, come ancora oggi, sorridendo (oggi, non all’epoca, è da precisare), si ribattono a vicenda Nico De Lillo e Alberto Della Torre. Veste la maglia Coalca dell’appassionatissimo tosco-milanese cav. Mario Del Serra, nel 1974 quella della Wega formata in prevalenza da pistard e quindi GBC nel 1975 e Hoonved-Bottecchia, quale individuale, nel 1976. Diventa un giramondo della pista disputando anche una trentina di Sei Giorni vincendo, in coppia con il padovano Giorgio Morbiato, quella di Delhi, in India, nel 1974. Altro suo amico e sodale in pista è stato Pietro Algeri con il quale ha condiviso avventurose trasferte, soprattutto in Canada e in Belgio. Dal 1977, staccato il numero, si dedica anche ai giovani dell’U.C. Bustese e inizia l’attività professionale nel settore immobiliare.

Comincia invece nel 1982 il terzo periodo di Della Torre nel ciclismo. E’ l’anno in cui è arruolato quale pilota dell’ammiraglia di Vincenzo Torriani al Giro d’Italia. L’indicazione è di Fiorenzo Magni ed è raccolta dallo storico “patron” del Giro che si avvale non solo dell’abilità di guida in corsa ma anche della conoscenza e dell’esperienza di Della Torre. Entra sempre più nei meccanismi organizzativi partecipando ai sopralluoghi tecnici delle tappe con Mimmo Filippi e Carmine Castellano, instaurando con quest’ultimo un solido rapporto d’amicizia e di fiducia. E’, infatti, a Busto Arsizio che Castellano si stabilisce con la famiglia a metà degli anni ‘80 dopo il suo trasferimento definitivo dai panorami della costiera sorrentina a quelli, sicuramente diversi…, del territorio dell’Olonia. Un rapporto che si rinsalda fra le due famiglie e quando Castellano assume la direzione operativa delle corse rosa affida a Della Torre la piena responsabilità della gestione delle zone d’arrivo. Un lavoro di grande impegno e tensione che Della Torre porta avanti, con il suo sempre più numeroso e oneroso da gestire gruppo di lavoro che comprende suoi diversi concittadini. E’ il periodo della crescita delle zone di varie attività (hospitality, villaggi commerciali e varie altre differenti iniziative) che si collegano all’arrivo e che porta avanti con la collaborazione dell’Otat di Sanremo di Piero Parise che ha rilevato Filippi. Ogni giorno, ogni arrivo, si presenta con una serie di problemi contingenti e di situazioni da risolvere, determinare e gestire con immediata risolutezza. E questo dura fino al 2004 lavorando anche in parallelo con Italo Zilioli che ricopre il medesimo ruolo di Della Torre alle partenze. E’ una mansione impegnativa, in continuo contatto con una variegata molteplicità di persone, di personaggi e personalità.

Dal 2005 il Giro d’Italia vede Alberto Della Torre e il gruppo dei suoi amici, anche senza virgolette, quali spettatori distesi e impegnati a ricercare appagamenti anche culinari, una volta preclusi anche per la serrata tempistica e la stanchezza procurata dall’impegno diuturno.
E da allora ha ripreso con assiduità e determinazione la bicicletta, pedalando, curando la linea con l’alimentazione, in perenne competizione con i suoi amici che rinfacciano al signor “copertina”, abitudine che mantiene, ora anche nonno felice, che se avesse messo il medesimo impegno al tempo della professione i risultati sarebbero stati senza dubbio ben più copiosi. Ora suda veramente sui pedali, sempre, senza bisogno di dimostrarlo con lo stratagemma della fontana e le biciclette, anche grazie alle premurose cure di Nando Piazza, fine meccanico diciamo  di complemento, sono sempre alla massima efficienza. E la sfida ciclistica continua, dopo il rito del cappuccino quotidiano con i soliti amici alla pasticceria Tovaglieri di Busto, così come il lavoro nel settore immobiliare e la sfida a carte, al Circolino di Marnate, nel primo pomeriggio, con l’amico Gianni Bottigelli. E ci accorgiamo solo ora, alla fine, che sono oramai quattro i “periodi” legati alla bicicletta di Alberto Della Torre “principe di Busto”.

Giuseppe Figini
foto Mario Broglia

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