Quando si svegliò dopo una notte agitata e un sonno interrotto, fra un viavai di persone e una ragnatela di voci, e papà Albino non c’era più: Luca aveva tre anni.
Quando andò a scuola con la mamma dopo la nevicata del secolo, sei chilometri all’andata e sei al ritorno, a piedi, e la scuola era chiusa: Luca aveva 12 anni.
Quando chiedeva alla mamma di andare a mangiare fuori, lei preparava il tavolo sul balcone con tanto di tv, lui era il più felice al mondo: Luca aveva 14 anni.
Quando fu invitato dallo zio Luigi a fare un giro in bici, lo zio Luigi su una Pep Magni fiammante, lui su una bici da uomo del 1950 con i freni a bacchetta: Luca aveva 15 anni.
Quando fece il primo allenamento, l’Epifania, da Baggio ad Abbiategrasso, andata e ritorno, andata con i compagni di squadra, ritorno da solo, staccato, in un nebbione spesso come un muro: Luca aveva 16 anni.
Quando il direttore sportivo gli ripeteva di cambiare, lui pensava che si riferisse al rapporto, invece lo invitava, infine lo implorava a far tirare un po’ anche gli altri: Luca aveva 17 anni.
Quando – mai entrato fino a quel giorno nei primi 10 – si trovò inaspettatamente in fuga con altri otto com’agni di avventura, e quando già sognava di giocarsela in volata, uno dei compagni di fuga lo tirò giù. Fine del sogno e della corsa. Ma non è finita. Gli organizzatori avevano previsto un premio anche per il più sfortunato: lui. Un cappone vivo. Venduto a un fattore, il ricavato servì a pagare il conto di tutta la squadra in pizzeria.
Quando da dilettante disputò la sua ultima corsa, nel finale sbagliò a prendere una curva, sdraiò mezzo gruppo, si rialzò e si rimise in bici, e il direttore sportivo gli chiese dove stesse andando, “la corsa è già finita”: Luca aveva 22 anni.
Quando si dedicò al suo primo corridore, grande e grosso, più indicato come rugbista, forte a cronometro, ma naif, tanto da mangiare (e starci male) risotto con le quaglie la sera prima di una gara: Luca aveva 24 anni.
Quando ricevette una telefonata proprio alla viglia delle nozze, era Aldo Sassi che voleva assumerlo nel Centro Mapei Sport, con tanto di contratto e partita Iva: Luca aveva 25 anni.
Quando partecipò al primo ritiro con la prima squadra a Sierra Nevada, si ritrovò con Luca Scinto, Andrea Noè, Paolo Fornaciari e Elia Aggiano, alleati nel farlo impazzire, così anarchici e autodidatti, e lui che li inseguiva, così perduto e impotente, con programmi e tabelle: Luca aveva 27 anni.
Quando al Giro d’Italia 2002 arrivò la notizia della positività di Stefano Garzelli, alla Mapei la questione doping era una priorità assoluta, e così a fine anno la squadra si sciolse: Luca aveva 29 anni.
Quando lasciò la Mapei per la Quick-Step, cioè Sassi per Patrick Lefevere, e Sassi ci rimase malissimo, ma il richiamo della strada era irresistibile: Luca aveva 29 anni.
Quando gli telefonò Fabian Cancellara per dirgli che sveva sistemato tutto, affittato un aereo privato a proprie spese, li avrebbe portati in Spagna al caldo, due giorni per rifinire la preparazione prima di un Giro delle Fiandre, poi vinto: Luca aveva 40 anni.
Adesso che ne ha superati 50, dunque oltre la metà del cammino della sua vita, Luca Guercilena si è raccontato a Pier Augusto Stagi in un libro, “Da zero a uno” (Prima Pagina Edizioni, 208 pagine, 18 euro), in cui ricorda e testimonia, svela e confida, precisa e spiega, ripercorre i suoi anni rotondi. Lo fa con ironia, soprattutto nei suoi anni da corridore (“Velocista o passista. Cronoman o scalatore. Io non ero nulla di tutto questo”), lo fa con onestà, per esempio a proposito di Pippo Pozzato (“Non fummo capaci di fargli passare il concetto di vincere per il solo gusto di vincere”), lo fa con rimpianto, per esempio con Andy Schleck (“Non essere riusciti a farlo rendere per quanto valesse”, “Le pressioni esterne erano superiori al piacere di correre”, “Non era felice. Oggi lo è”).
Ma non è solo ciclismo, tant’è che sulla copertina non c’è neanche l’ombra di una bicicletta. Infatti, è vita. Vita a due ruote e due pedali, una sella e un manubrio. Ma le regole e i principi, l’istinto e la ragione, la saggezza e la scienza, i valori, quelli valgono sempre. Quando si sentì tradito e obbligò Pozzato, Paolini, Zanini e Bramati a 1800 chilometri in pullman per tornare a casa. O quando sostiene che la prima cosa da fare, sempre, comunque, dovunque, è ascoltare.
In tempi (anche quelli ciclistici) molto digitali e poco tattili, molto marketing e poco sentimentali, molto finanziari e poco affettuosi, “Da zero a uno” ci rivela un uomo che sa ancora dare il giusto peso ai valori umani. Dunque, volendo, si può. Dai.
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