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ZANATTA: «UNA POLTI VISITMALTA PRONTA A DAR BATTAGLIA OVUNQUE»
di Nicolò Vallone | 26/02/2025 | 08:25

Dal cielo grigio dei Navigli milanesi alla nebbia alle porte di Treviso, un filo te­lefonico invernale ci collega a Stefano Zanatta in questo inizio di stagione della Polti VisitMalta. Ed il tecnico veneto accennta di passare volentieriun mezzo tardo pomeriggio a chiacchierare con noi: il suo team, il suo ruolo, il ciclismo.

La prendiamo da lontano, Stefano: lei è arrivato in questa formazione quando è passata di categoria nel 2021 con la denominazione Eolo Kometa. Quella che sta per cominciare è la quinta stagione come Professional, sempre con lei in ammiraglia: cosa significò per lei la chiamata del suo grande ex corridore Ivan Basso?
«Ne fui gratificato: bello constatare una volta di più quale legame si fosse creato ai tempi di Fassa Bortolo e Li­quigas. Anche perché Ivan mi aveva contattato già a marzo del 2020, nell’anno del Covid nonché ultimo anno dell’allora Kometa Xstra come Conti­nental. All’inizio rifiutai, alla mia età non mi sentivo più pronto per prendere in mano un progetto quasi da zero. A novembre però ci fu un nuovo contatto: Fran Contador e Ivan cercavano un profilo italiano esperto e pensavano proprio a me. Accettai, mancavano so­lo due elementi a completare la rosa: andammo su Gavazzi, che vedevamo utile alla causa e lo è effettivamente stato (come veterano in corsa prima, come collaboratore dello staff poi), e su Fortunato, che avevamo individuato come talento importante ma dovevamo capire se avesse o meno l’accordo per prolungare con la Vini Zabù di Ci­tracca».

Alla fine fu libero di trasferirsi da voi e vi regalò una soddisfazione pazzesca sullo Zoncolan…
«I primi mesi erano stati tosti, ma grazie al suo talento e al lavoro di tutti, in particolare quello svolto in altura col nostro preparatore Carlos Barredo, si presentò a quel Giro d’Italia nelle mi­gliori condizioni».

Qual è il metodo, la peculiarità che identifica Stefano Zanatta?
«La propensione ad assumermi delle responsabilità sapendo ascoltare: i corridori, gli altri direttori sportivi, ogni elemento dello staff e della dirigenza, amo confrontarmi davvero con tutti, dai tecnici fino agli addetti stampa. Si può anche sbagliare, ma se si riesce a tenere una linea coerente è più facile tirar fuori il meglio di ciascuno. Inoltre tengo particolarmente a non “buttare i corridori per caso” nelle varie corse, bensì a chiedermi e stabilire insieme a colleghi e management dove esattamente possiamo impiegarli: ciascun nuo­vo acquisto e ciascun nostro atleta nella startlist di una gara è lì esattamente per un motivo, perché c’è uno studio su cosa può dare e cosa posso chiedergli. Noto con piacere che i corridori che passano a categorie superiori dopo aver lavorato con me, me lo riconoscono».

Com’è organizzata la vostra squadra?
«Non siamo mica tanto lontani dalle big: utilizziamo rigorosamente i preparatori interni e garantiamo servizi e competenze all’altezza del professionismo. Insieme al già citato Barredo la­vorano tre preparatori che sentono quo­­tidianamente i ragazzi, abbiamo una bella compagine di massaggiatori e meccanici (inoltre il figlio Simone Za­natta è “fisio” del team, ndr) ai quali negli ultimi due anni si sono aggiunti l’equipe di nutrizionisti spagnoli di Emen4Sport e quella medica dell’Uni­versi­tà di Firenze coordinata dal dottor Giulio Tempesti. Così riusciamo a portare in corsa corridori sempre pronti e motivati».

Non le manca un po’ il World Tour?
«No, a maggior ragione oggi che è di­ventato così grosso e stressante. Devo fare i conti con la mia carta d’identità e le energie che vengono meno rispetto a vent’anni fa. Preferisco di gran lunga poter lavorare ancora in modo umano come nella Polti VisitMalta: venti atleti, staff in quantità “giusta” e affiatato, composto di gente che svolge certi me­stieri per passione. Abbiamo meno segreti, c’è scambio continuo di informazioni e un collegamento coi ragazzi più diretto, più “terra terra” nel senso buono del termine: da noi ci si telefona ancora e non ci si scambia solo dati, si parla pure di problemi e difficoltà. Tra gli insegnamenti del “sergente di ferro” Ferretti ai tempi della mitica Fassa, mi porto dietro l’importanza dei ritiri co­me momenti in cui capisci già i corridori, come persone e come sportivi, ben più che alle gare. Tutti remiamo nella stessa direzione e i risultati si vedono».

In media, 4 vittorie all’anno: l’obiettivo di alzare quest’asticella è realistico?
«Di sicuro qualche podio in volata e qualche sfortunato photofinish dello scorso anno possiamo cercare di trasformarlo in primi posti, ma non possiamo pensare a tante vittorie nell’anno in cui si deciderà il ranking triennale e le World Tour andranno a caccia di ga­re “di seconda fascia” per accrescere il loro punteggio. Ciò che è realistico e doveroso avere come obiettivo è di correre in modo propositivo e farci ap­prezzare negli appuntamenti più prestigiosi, col sogno, che a volte si può av­verare, di anticipare i leader delle squadre più forti: vedi il successo di Campo Imperatore al Giro del 2023 di Davide Bais, che l’anno scorso invece è stato ripreso a soli dieci chilometri dal traguardo alla Sanremo. Poi sai, le vittorie hanno anche un peso differente: se già conquisti una tappa al Giro, il numero totale delle altre è relativo».

Lei ha lavorato in Bardiani nel pre-Covid e ora è in Polti: è sempre più difficile per le Professional contrastare le World Tour?
«Sì, la forbice si sta allargando e ciò rende più complicato attrarre investitori e sponsor. Anche perché i maggiori talenti, fatte le dovute e piacevoli eccezioni, tendono ad andare dritti nel World Tour o nelle loro Devo mentre le Professional diventano una seconda scelta. A cascata ciò sta comportando la crisi della categoria Under 23, che si riflette peraltro sulla chiusura dei battenti di alcune squadre, anche storiche: noi stessi abbiamo posto fine alla nostra Under 23 tenendo “solo” Pro­Team e Juniores. Inoltre c’è una sperequazione nei calendari, dal mo­mento che noi e le WT figuriamo nella stessa classifica ma non abbiamo la possibilità di partecipare alle stesse corse: noi dobbiamo sperare in inviti e wild-card, su cui in parte non abbiamo ancora certezze mentre stiamo parlando in questo momento. Un sistema un po’ da rivedere, nel quale è sempre più difficile ottenere bei risultati se parti con me­no risorse. Certo è che quando li ottieni, hanno ancora più valore».

Voi che calendario avete approntato e state approntando per il 2025?
«Sulla scia di quanto appena detto, correremo leggermente di meno soprattutto all’inizio a causa di mancati inviti. Per quanto riguarda il Giro e le altre classiche e gare di RCS Sport, mi auguro che i loro dirigenti abbiano il buon senso di giudicar meritevole il mo­do di correre che abbiamo sempre messo in mostra. Parlando delle gare che ad oggi siamo sicuri di affrontare, sarà il consueto mix di appuntamenti che ben si addice alle nostre caratteristiche. La grande novità sarà rappresentata dal Qinghai Lake in Cina, a inizio luglio».

Veniamo infine all’argomento centrale: la squadra. Da Polti Kometa a Polti Visit­Malta, sono rimasti 14 corridori su 20.
«Un gruppo che funziona bene insieme e sente davvero la maglia addosso, non ha senso stravolgerlo. Dispiace lasciare a casa qualcuno, ma ahimè bisogna prendere delle decisioni. Quello che mi lascia soddisfatto è vedere una sana competizione interna che porta tutti a correre con grinta e serietà. Com­ples­sivamente abbiamo innestato qualità e speriamo di non avere intoppi fisici. Per ora stanno tutti bene, al limite qualcuno ci metterà più del solito per entrare in condizione: conseguenza del calendario meno ricco in questa fase iniziale».

Cosa ci dice dei sei nuovi acquisti?
«Il maltese Buttigieg, proveniente da una Continental australiana, e Rac­ca­gni che abbiamo promosso dall’U23, li abbiamo già aggregati e fatti correre con noi a fine estate: possono tirare molta acqua al mulino e possiamo lavorare molto su di loro. Un altro “promosso in prima squadra” è Pablo Gar­cia, detto Garchu, che è più strutturato da anni di dilettantismo e potrà sorprendere. Il neoprofessionista più atteso comunque è Crescioli: talentuoso e meticoloso, scalatore in grado di sprigionare buona potenza, fisico con ampi margini di miglioramento, lo co­no­sce­vo dalla Mastromarco e quando il mio ex corridore Chicchi l’ha preso in Techni­­pes mi sono fatto ragguagliare di continuo. Sono contento di aver convinto Ivan a parlare col ragazzo prima dell’Avenir: sapevo che poteva far be­ne, difatti ha vinto una tappa. Se ci fossimo mossi dopo ce l’avrebbero for­se soffiato, invece così ha dato priorità a noi e ha firmato nonostante qualche al­tra offerta. Per quanto ri­guarda invece i due ingaggi più esperti, che ci han­no completato alla grande il roster do­po numerose annate coi Reverberi, Zoc­carato è un toro che non ha paura di niente e Tonelli può essere un altro Maestri».

Eccolo lì. Il “capitano” dell’intera squadra, il 33enne Mirco: con la vostra maglia non ha ancora vinto, in compenso vi ha regalato una gioia alla sua prima presenza in azzurro della carriera!
«Una meritatissima medaglia d’oro nel­la Team Relay agli Europei. Gli abbiamo dato le redini dell’intera squadra perché sa essere leader attraverso l’esempio, dentro e fuori dalla bici: ha un modo estremamente maturo di ge­stirsi e guidare i compagni, non dice agli altri di stare davanti ma ci va lui in primis. Un ruolo via via più si­mile ce l’avranno i fratelli Bais, mentre l’omologo di Maestri tra i corridori spagnoli è Se­villa: l’uomo che incarna in tutto e per tutto la Fundación, ne fa parte fin dalla nascita quando il progetto partì come Juniores nel 2013, è sem­pre a disposizione, sa andare in fuga, tirare una vo­lata e giocarsi le proprie chance negli ar­rivi esplosivi. Sia Die­go che Mirco sono uomini che si but­terebbero nel fuoco per i compagni».

Prima lei accennava alle possibilità di vittoria dei velocisti: ci dica qualcosa di più dei vostri due sprinter…
«L’anno scorso Lonardi ha vissuto la miglior stagione in carriera, con una vittoria in Turchia e una sfilza di piazzamenti consecutivi: avrebbe potuto andar via, invece ha deciso di vivere qui da noi gli anni del suo apice, per dimostrare con la nostra maglia tutto ciò che può dare. Lo step che ha fatto lui, penso potrà ripeterlo anche Pe­ñalver, che ha chiuso il 2024 in crescendo. Di caratteristiche leggermente di­verse, più adatto alle volate ristrette, è Serrano (Javier, fratellino del Gonzalo della Movistar ndr) dal quale mi aspetto bei miglioramenti».

Ecco, abbiamo iniziato questa analisi coi giovani neoacquisti e poi abbiamo parlato soprattutto degli esperti che potranno esser le loro chiocce: torniamo sulla gioventù di belle speranze, che in casa vostra non manca...
«E contestualmente passiamo da ruote veloci a scalatori: Fernando Tercero e Da­vide Piganzoli, entrambi prodotti del vivaio seppur non con la militanza di lunghissima data di un Sevilla. L’an­no scorso Tercero ha iniziato di fatto a luglio, perché prima ha dovuto recuperare da un citomegalovirus, e a ottobre si è piazzato quarto al Tour de Lang­kawi. Di Piganzoli sapete ormai tutto: con l’esperienza messa in saccoccia, e a maggior ragione senza un Fab­bro o un Double, sarà il principale leader da classifica. Tra i suoi gregari più preziosi troveremo un altro “prodotto del vi­vaio” come Alex Martìn e il co­lom­biano German Gomez».

Se abbiamo fatto bene i calcoli, mancano tre corridori da menzionare.
«Ottimi uomini squadra, ai quali daremo comunque delle possibilità personali come doveroso: De Cassan, Mu­ñoz e Pietrobon, quest’ultimo un po’ più grande d’età e vincitore della classifica delle fughe al Giro. Sono in fase di crescita e possono solo aumentare il proprio livello».

Chiudiamo con una battuta da cabala. Al Giro finora avete vinto una tappa un an­no sì e un anno no: secondo tale alternanza (wildcard permettendo, of course) questo dovrebbe essere “l’anno sì”.
«Cerchiamo di mantenere viva questa speranza, del resto è l’anno del giubileo e si finisce a Roma...».

da tuttoBICI di febbraio

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