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di Marco Scarponi | 20/03/2019 | 07:50

Che cosa vuol dire per me e la mia famiglia continuare ad assistere a una gara di ciclismo dopo la morte di Michele? Questa è una delle tante domande a cui non riuscirò mai a dare una risposta e soprattutto non potrò darla mai in nome di tutti i componenti della mia famiglia, anche se abbiamo lo stesso buco nel buco degli occhi…

Al massimo posso abbozzare sensazioni che riguardano solo me, inizi di emozioni che, come sassi lanciati nel vuoto, trovano una conclusione devastante, nessun rumore che sappia di atterraggio, la caduta senza sosta: il nulla di tutte le cose.

Che cosa è stata, dunque, questa Tirreno-Adriatico che si è conclusa ieri a San Benedetto, la seconda senza Michele da molti anni a questa parte? Provo a rispondere.

In questi giorni i ciclisti si sono rincorsi lungo le strade delle Marche, su e giù per le nostre colline. Mentre sabato mattina Lutsenko preparava la sua giornata di gloria io, mio padre, mia madre e Silvia siamo seduti in piazza Cavour a Camerino. Qui Michele trionfò dieci anni fa davanti a Garzelli e Basso, ed oggi verrà posta una targa in sua memoria.

Camerino è una città fantasma, il terremoto ha reso inagibile tutto il centro storico, la vita sociale, se così ormai possiamo definirla, si è spostata in basso, in un non-luogo prefabbricato. La targa in onore di Michele che scopriamo insieme a Gianni Savio, Beppe Martinelli, Enzo Vicennati, Luca Panichi e Marina Romoli è l’unica cosa salda: intorno tutti i palazzi sono puntellati con assi di legno, come i nostri cuori. Immagino la targa con l’incisione di Michele a braccia a larghe, come ad abbracciare la sua terra, quando ce ne andremo e la piazza ritornerà vuota.

Ho un brivido.

E una speranza.

Camerino ha ancora bisogno di Michele e forse da oggi qualcosa tornerà alla normalità, in questa città…

La corsa continua, è già domenica e c’è da scalare il muro di Porta d’Osimo di Recanati, uno strappo durissimo che lo stesso Michele consigliò al sindaco Fiordomo di inserire in un eventuale arrivo di tappa nella sua città.

La città di Recanati è tutta intorno a noi mentre dedichiamo l’ascesa a Michele con un’altra targa. E’ la Tirreno-Adriatico delle targhe, mi sembra di sentire Michele che ride. In realtà è la Tirreno-Adriatico dell’Astana trionfante anche oggi, con Fuglsang che alza il dito al cielo, lassù dove dovrebbe essere mio fratello.

A Recanati ho visto i corridori in salita dopo tanto tempo. Ho incitato Peter Sagan e mi sono unito al coro “Astana Astana” dei miei figli quando Jakob si involava verso la vittoria. Ho sentito un tonfo dopo l’arrivo, che sapeva di gioia e tristezza. Niente di leggero, eppure sono corso al pullman kazako per abbracciare Beppe e dirgli grazie.

Quindi il gruppo lunedì è arrivato a Jesi, la città dove siamo nati, dove abbiamo frequentato le scuole superiori e dove Michele ha vestito la sua prima maglia da ciclista, quella storica della Giannino Pieralisi.

Mi sono alzato presto, poiché avevo degli impegni con la Fondazione alla scuola media di Filottrano, dove l’urbanista Ippolito Lamedica, che mi sta aiutando a portare avanti il progetto “Precedenza alla vita”, mi aspettava per incontrare i ragazzi della II B.

Appena arrivato apprendo la notizia che un ragazzo di 25 anni, il figlio di un amico di famiglia, nella notte è morto dopo aver perso il controllo della sua auto, finendo la corsa contro un albero.

Non ho più voglia di andare a Jesi.

Vado al cimitero, da Michele.

Penso ai miei bambini, a Giacomo, a Tommy. Penso che ad Ancona, in ospedale, c’è un ciclista di Cingoli, investito più di un mese fa, che sta lottando tra la vita e la morte. Penso che due signori anziani sono stati investiti l’altro giorno mentre attraversavano a piedi la strada a Filottrano. Sono vivi, ma non stanno bene.

Penso a Michele e ai ragazzi che ho incontrato nelle scuole di Moie e di Camerino in questa settimana.

Vado a Jesi, faccio le interviste, i selfie, sorrido, premio Lutsenko. Abbraccio Tonina Pantani. Poi, appena fa buio, mi vedo con Sagan, Oss, Bugno e Salvato a Civitanova. Li intervisto per il docufilm “Gambe”. Torno a casa. Mi metto a scrivere questo pezzo.

Mia madre di sopra è sveglia.
La vado a salutare.
Ci guardiamo.
Solo parole di circostanza.
Siamo i soli a sapere.

Quello che per gli altri è un evento, per noi ormai è quotidianità.

Marco Scarponi, fratello di Michele

www.fondazionemichelescarponi.com

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