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CAPITANI CORAGGIOSI. LUCA LOCATELLI: «CON DEDA INDUSTRIE SIAMO AL FIANCO DEI CAMPIONI E DEI SOGNI DI CHI FA SPORT» GALLERY
di Pier Augusto Stagi | 02/11/2024 | 08:20

A vederlo potrebbe essere un velocista, un autentico pi­stard, visto che Luca Lo­catelli è spallato come po­chi, con braccia più da vo­gatore che da ciclista, difatti è stato anche campione italiano di kajak K4, il suo primo grande amore, prima di andare a gonfie vele come manager e imprenditore e chiaramente anche come velista.

Fisico compatto e massiccio da big-gym, frutto di anni e anni di pagaiate e regate, occhi azzurro mare e sorriso che riscalda il cuore, porta i suoi 62 anni con allegra noncuranza e mi accoglie con la gentilezza che da sempre gli è propria. Luca è il nostro “Capitano Coraggioso”, il CEO, il frontman di Dedaindustrie srl che racchiude due eccellenze del mondo della bicicletta, Dedacciai e Deda Elementi, aziende che manda avanti da anni con suo fratello Stefano, con il quale divide il cinquanta per cento delle azioni. Luca se­gue l’aspetto commerciale ed economico, mentre Stefano, da buon ingegnere nucleare, segue la parte tecnico-produttiva.

«I nostri inizi hanno come spesso accade un altro inizio - mi racconta Luca Lo­catelli -. Bisogna tornare nell’immediato dopoguerra, quando Angelo Lui­gi Colombo - papà di Antonio - coadiuvato dal fratello Martino, fonda a Mi­lano la prima trafileria italiana di tubi di precisione senza saldatura, la A. L. Colombo. Purtroppo Martino viene a mancare giovanissimo, a soli 36 anni, ed è mia mamma Mariangela Colombo (oggi ha 93 anni, ndr), figlia maggiore di Martino, a portare avanti questo pro­getto visionario e stimolante. Sotto la sapiente guida dello zio Angelo Lui­gi, mamma negli anni arriverà a ricoprire la carica di Amministratore Delega­to di un’azienda siderurgica all’avanguardia nel settore della meccanica di precisione, fin quando, forte di questa esperienza e spinta da nuove sfide, nel 1992 decide di fondare con alcuni collaboratori la “Dedacciai - Tecnologia dei tubi”, a cui si unisce con entusiasmo anche mio fratello Stefano».

Questa la nascita di Dedacciai: lei quando nasce?
«Il 2 febbraio del 1962 a Milano, frutto dell’amore di mamma Mariangela e di papà Gianni Locatelli, mancato purtroppo quindici anni fa. Papà per anni è stato direttore di un grosso gruppo di edilizia civile, la Lucchini».

E Stefano?
«Nasce sempre a Milano il 27 maggio del 1965».

Entrambi sposati?
«Sì. Io con Irene Vallone, giornalista e mamma di Pietro che oggi ha 27 anni e lavora in ambito finanziario a Londra (alla Ineos, ndr). Stefano è sposato con Francesca Bianchi, avvocato, ed è pa­dre di tre magnifici ragazzi: Laura, Mar­gherita e Alessandro».

Scuole?
«Io ho fatto le elementari in via Mu­gello, scuole elementari Cinque-Gior­nate, le media alla Maino, quelle di fian­co al Berchet, e poi il Liceo Scien­tifico al Cardinal Ferraris, prima di laurearmi in economia in Bocconi. Ste­fano lo stesso percorso, solo che lui ha una laurea in ingegneria nucleare».

Mi sembra un’intesa più che solida.
«Andiamo di comune accordo da sempre: lui è bravissimo, perché ha anche tanta pazienza e non vi dico con chi».

Cosa amava fare da ragazzino?
«Casino. A parte gli scherzi, amavo fare tutti gli sport possibili e immaginabili. Sci atletica e kajak in particolare».

In che anno entra in Columbus?
«Nell’87, quando gli uffici erano in via Pestagalli, zona Mecenate. Mi occupai fin da subito di mercati emergenti: Tai­wan e Stati Uniti».

È un precursore di Taiwan.
«È la mia seconda casa, ho tantissimi amici, sono invitato anche ai loro ma­trimoni».

Amico del cuore?
«Taiwanese? Direi James Lin. È stato il nostro primo agente e siamo da sempre amici. Adesso lui si è ritirato e giustamente si gode i guadagni di una vita di lavoro».

Avete anche una sede a Taiwan.
«Esattamente, da undici anni. Prima avevamo un agente, adesso abbiamo creato uno staff taiwanese di valore e affidabile gestito benissimo da Jamie, che come ben sapete non si chiama così: per facilitarci si danno no­mi occidentali. In pratica sono nomi d’arte. Di questo ufficio me ne occupo io con Gianluca (Cattaneo, direttore commerciale, ndr) che è ormai diventato il mio super-alter ego, come per anni lo è stato l’indimenticato Fulvio Ac­quati».

Fino a quando resta in Columbus?
«Fino al ’91 e, dopo quasi un anno, fondiamo la Dedacciai: grazie chiaramente alla mamma, che in pratica ci ap­parecchia la tavola come si deve. Gra­zie ad Alvaro Dellera, che era di Crema e di conseguenza ci trovò i capannoni, demmo inizio alla nostra nuova avventura a Palazzo Pignano: 1500 metri di capannoni e sette persone impegnate contando mamma, Sergio e il sottoscritto. Siam partiti subito bene e ab­biamo cavalcato l’onda dell’acciaio leggero. Siamo stati forse i primi in Italia a fare l’acciaio bonificato e temprato, siamo stati sicuramente tra i primi in Europa a fare i tubi in alluminio in leghe autotempranti. Insomma, abbiamo cavalcato bene le leghe di alluminio. Con l’acciaio equipaggiammo corridori come Indurain, con l’alluminio campioni come Marco Pantani: insomma il lavoro non ci mancava».

Poi è arrivata la Deda Elementi.
«Nel 1999 decidemmo di creare una divisione per la componentistica: ma­nubri, attacchi, reggisella e via elencando. Il successo è pressoché immediato e porta il gruppo Deda a diventare uno dei leader mondiali nella componentistica per biciclette di alta gamma, di­stinguendosi per ricerca, innovazione di prodotto e molteplici vittorie nelle corse professionistiche. Campioni co­me Lance Armstrong, Tom Boonen, Paolo Bettini e Bradley Wiggins hanno legato i loro principali trionfi a Deda Elementi, fino ad arrivare ai nostri giorni con i primi due Tour conquistati al Tour de France da Tadej Pogacar, anche se oggi non è più nostro».

Tanti campioni e tantissime vittorie.
«Molte vittorie, basta ricordare che il Gruppo Dedaindustrie, tra Dedacciai e Deda Elementi, vanta oggi i trionfi in 17 edizioni del Tour de France e del Gi­ro d’Italia, 3 Vuelta a España, 2 Olim­piadi (Strada e MTB) oltre alle vittorie in tutte le più prestigiose corse del mondo: Milano-Sanremo, Parigi-Roubaix, Giro delle Fiandre, Liegi-Bastogne-Liegi, Giro di Lombardia e Campionati del Mondo».

Una decina di anni fa avete investito anche in un vero e proprio reparto “ruote”.
«È un ulteriore passo in avanti e un completamento di un processo di visione che abbiamo portato a termine nel 2012. È in quell’anno che decidiamo che è arrivato il momento di crescere e ci presentiamo ad Eurobike con le ruo­te SL45 ed SL30: cerchio in fibra di carbonio per tubolare, ruote che entrano in gamma l’anno successivo. Da quel momento in poi produciamo cerchi in carbonio e alluminio per pneumatici tubolari, copertoncino o tubeless-ready, adatti a qualsiasi utilizzo e condizioni. Tutti i componenti delle ruote sono progettati direttamente dall’R&D Deda Elementi con la massima attenzione per i dettagli, dai cerchi in carbonio tubeless-ready di nuova generazione ai mozzi con cuscinetti ceramici o ai nippli con sistema anti-svitamento (ABS system)».

Parlavamo di vittorie e di campioni, le faccio un nome: Marco Pantani.
«E la mente mi vola ai tempi Bianchi della Mega Pro XL, utilizzata in occasione della indimenticabile stagione 1998 quando il Pirata mise a segno la storica doppietta Giro e Tour. La bici impiegava tubazioni in lega di alluminio serie 7000 firmate Dedacciai».

Lance Armstrong.
«Uno dei primi ad utilizzare lo storico attacco manubrio Deda Newton con piastra frontale a quattro fori. Un componente a cui spetta un altro primato: aver introdotto il diametro da 31,8 mm per il serraggio della curva che oggi è una delle “misure auree” della bici da strada».

Tadej Pogacar.
«Fino allo scorso anno nostro uomo di punta con il manubrio Deda Alanera».

Oggi quante persone avete impiegate?
«Siamo in 32 e fatturiamo 12 milioni di euro senza contare Taiwan. Oggi buo­na parte del successo mondiale del mar­chio Deda Elementi è legato so­prattutto all’aftermarket (80% del fatturato)».

Dedacciai non lavora solo per il mondo della bicicletta.
«Vero. Con la crisi dell’acciaio all’inizio degli Anni Duemila abbiamo diversificato, oggi lavoriamo tanto nella mo­bilità per disabili (sedie a rotelle), alpinismo (producono la metà delle picozze in circolazione, i manici in ergal con il processo dell’idroformatura, ndr) e anche nel settore della illuminotecnica di design (per Artemide, Fontana Arte, Flos…, ndr), senza trascurare anche settori come la subacquea, visto che produciamo molti steli per fucili. Questa diversificazione ci ha consentito di restare produttivi in Italia».

Le piace il ciclismo?
«Non è una mia grandissima passione, anche se vado in bicicletta. Come le ho detto, ho sempre più amato praticare che seguire lo sport. Adoro anche lo sci di alpinismo, ma oggi e da un po’ di tempo che appena posso vado in barca a vela».

C’è un corridore che le è restato nel cuore?
«Miguel Indurain e Lance Armstrong: Miguel ha lanciato la Dedacciai e Lan­ce ha portato a grandissimi livelli la Deda Elementi. È chiaro che anche Marco Pantani o lo stesso Tadej Po­gacar non mi hanno lasciato indifferente».

Un posto del cuore?
«Taiwan».

Ama leggere?
«Molto».

Autore?
«Ernest Hemingway».

Canzone?
«“The Needle and the Damage Done”, l’ago e il danno fatto di Neil Young. Tra gli italiani Francesco de Gregori».

Gruppo?
«U2 e i Red Chili Pepper».

Un film.
«Apocalypse Now”.

Attore.
«Ugo Tognazzi».

Attrice.
«Charlize Theron».

Colore.
«Arancione».

Fiore.
«Girasole».

Piatto.
«Sono golosissimo di tutto. Se mi vuoi fare felice, un bel piatto di gnocchi burro e salvia, sarde in saor e tartufo».

Vino.
«Mi piacciono le zone: valle del Ro­dano e i Verdicchi marchigiani, rosso e bianchi».

Una cosa che la manda in bestia.
«Le persone noiose: non ho pazienza».

Come ha conosciuto sua moglie?
«Festa di carnevale 1981, a Milano, alla Fiorentina danze. Amici comuni avevano organizzato una bella festa e quella sera i nostri sguardi si incrociarono».

Lei non incrocia mai le braccia…
«Guarda, non riesco proprio a stare fermo, mi annoio, devo sempre fare qualcosa. Mi chiedono: ma non hai vi­sto Luna Rossa o Sinner, Pogacar o il derby? No, generalmente io non guardo lo sport, amo farlo e quello che più mi piace, in ambito ciclistico, mettere gli atleti nelle condizioni ideali per svolgere la loro professione nel mondo migliore. Ecco, io nel mio piccolo sono uno di loro».

Quindi, niente di più bello di una bella regata con il vento in faccia…
«Se è per questo non rinuncio nemmeno ad un bel giro in bicicletta: mi rilassa e mi aiuta a pensare. È proprio vero, le idee migliori ti vengono in mente quando hai il vento in faccia: che sia una bicicletta o una barca a vela poco importa. L’importante è che la pelle venga accarezzata dolcemente dall’aria: d’altra parte nessuno mi pettina bene come il vento».

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